La riflessione. Tamaro: ma la nostra vita non è retta dal caso
La scrittrice Susanna Tamaro
Anticipiamo in questa pagina un estratto dall’intervento di Susanna Tamaro nel nuovo numero di “Vita e Pensiero”, il bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in uscita giovedì prossimo. Tra gli altri contributi presenti nella rivista, l’editoriale di Vincenzo Zani sull’educazione cattolica alla luce della Popolorum progressio; la riflessione del segretario della Pontificia commissione per l’America Latina Guzmán M. Carriquiry Lecour su una auspicabile integrazione tra i paesi del Sud America; l’approfondimento di Riccardo Cristiano sul futuro per i cristiani in Siria; il dibattito tra Adriano Dell’Asta e Anna Foa sull’accostamento tra comunismo e nazismo; un intervento dello scrittore David Grossman su Israele “fortezza invece di una casa”; le considerazioni di Gigio Rancilio sugli “influencer cattolici: un identikit e un decalogo”: un panorama che presenta numeri sconfortanti dove l’unico a riscuotere attenzione è papa Francesco; “Perché l’Italia non è il Paese delle metropoli”: il declino delle città italiane visto dallo statistico Roberto Volpi.
Olga, la protagonista di Va’ dove ti porta il cuore, ha più di ottant’anni. Pochi mesi dopo l’uscita del libro, ho ricevuto una telefonata di una signora molto anziana. «Come ha fatto a descrivere così profondamente la nostra età?», mi ha domandato, «non c’è una sola parola in cui non mi sia riconosciuta!». Allora avevo appena trentatré anni. Se a trent’anni ho potuto interpretare perfettamente i pensieri e i sentimenti di una persona molto in là negli anni è semplicemente perché, da quando ho memoria di me, sono sempre stata consapevole della presenza della morte. Avevo attorno a me ancora la barriera del letto infantile che già pensavo alle sponde della bara che un giorno avrebbero accolto il mio corpo. Più che stare con i miei coetanei, amavo frequentare le persone anziane. Se ero libera di fare un disegno, al posto di una casetta con i fiori, disegnavo un cimitero o la lunga e dolorosa processione di un funerale. Per mia fortuna all’epoca non avevano ancora sguinzagliato gli psicologi nelle scuole! La vita, contemplata nel suo fluire materiale, mi sembrava priva di senso. Per quale ragione avrei dovuto ripetere ossessivamente le azioni di sopravvivenza quotidiana quando, in qualsiasi istante, tutto poteva venire risucchiato nel nulla annichilente della morte? E poi, mi chiedevo, era davvero annichilente? O invece si trattava soltanto di un passaggio? A senso unico, naturalmente, perché nessuno tornava indietro, ma pur sempre un passaggio. Pur non conoscendo ancora la paleontologia, mi era abbastanza chiara l’estrema brevità dei nostri giorni. Mi guardavo intorno, vedevo tutta la magnificente e gratuita bellezza della natura e mi chiedevo: tutto questo per una sola rappresentazione e di così breve durata?
In questo modo piano piano, in punta dei piedi, l’eterno è entrato nei miei pensieri. C’è il tempo e c’è l’eterno, mi sono detta a un certo punto, e noi siamo continuamente sospesi tra queste due dimensioni. Come la luce danza con il buio, come il maschile con il femminile, così il tempo danza con l’eterno. E questa danza è il grande mistero nascosto in ogni istante della nostra vita. I volti lividi e contratti della contemporaneità, il dilagare epidemico dei disturbi psichiatrici, la sempre più estesa follia di omicidi delle persone che dovrebbero essere amate – genitori sui figli, figli sui genitori, mariti sulle mogli, compagni sulle compagne – traggono origine in buona parte dall’oblio dell’eterno. Se la nostra unica dimensione è quella del tempo, se la nostra posizione è quella di Atlante che porta il peso del mondo intero sulle sue spalle, come facciamo a non sentirci schiacciati, a non essere travolti dagli strali della follia? Alla farfalla che batte gioiosamente le ali è stata legata una palla di piombo e si pretende che continui a volare leggiadra con quel macigno addosso. Possiamo dire che la nostra società è povera? Ricca di beni, ricca di merci ma molto povera, poverissima di visione dell’umano? Il mondo che ci ha consegnato la storia degli ultimi quattro secoli è un mondo dominato dalla razionalità. Consideriamo vero ciò che si può pesare, che si può misurare, che si può vendere e comprare, ciò che, sottoposto ai rigorosi criteri della scienza, risulta sempre assolutamente coerente. Sappiamo misurare con precisione ogni cosa ma non sappiamo più chiederci che origini abbiano le leggi che permettono all’universo di esistere. Le leggi della fisica, della chimica, della matematica, da dove vengono? Non le abbiamo inventate noi, siamo stati soltanto così genialmente curiosi e intelligenti da scoprirle. Ma quelle leggi ci precedevano. Esistevano già quando abbiamo assunto la posizione eretta. Erano tutte lì quando con fatica abbiamo articolato la prima parola attivando aree cerebrali che nessun altro animale è mai riuscito ad attivare. Senza quelle leggi l’universo, la vita che popola il nostro modesto pianeta – e probabilmente ne popola altri in qualche altra galassia – non avrebbe preso forma.
La nostra incapacità di leggere il cosmo attraverso la lente dell’umiltà ci fa affermare con stolida certezza che è solo il caso a reggere le redini del mondo. È questa la vulgata trasmessa ossessivamente ai nostri tempi, fin dagli anni dell’asilo. Ma basta essere anche mediamente disordinati per rendersi conto che il caso e l’ordine fanno a pugni uno con l’altro. Se io in camera mia, giorno dopo giorno, lascio le cose a caso, a un certo punto, per non venire sommersa dal caos, sono costretta a perdere diverse ore del mio tempo per riportare l’ordine. Cioè per rimettere ogni cosa nel luogo che fin dall’inizio le era riservato. Il caso insomma genera caos. Sarà ancora una volta un “caso” che le parole caos, caso e cosa – vale a dire, la pura materialità – siano in realtà termini anagrammatici? Certo, nei fenomeni fisici compaiono anche dei momenti di caos – le grandi catastrofi naturali, i vicoli ciechi evolutivi – ma credo si tratti in qualche modo della straordinaria creatività della forza vitale, la via scelta per riportare l’ordine, aprire nuovi orizzonti o chiudere storie che non avevano più senso di esistere. Se così non fosse, il nostro mondo non sarebbe diverso dal perfettissimo meccanismo di un orologio. Perfettissimo e noiosissimo, perché privo di elementi di innovazione e del fondamentale principio del libero arbitrio. Per contro, basta fare una passeggiata in un prato nel mese di aprile, per rendersi conto che l’energia della vita è dominata da un minuzioso ordine. I bombi visitano fiori che le api non sfiorano neppure, e viceversa, perché la diversa lunghezza delle loro lingule li rende atti a frequentare con successo una specie piuttosto che un’altra. I tarassachi splendenti come piccoli soli, le soldanelle, le pervinche, gli anemoni, i crochi ci parlano di un mondo che non è solo ordine, ma anche armonia, bellezza. E la bellezza ha una caratteristica imprescindibile: colpisce profondamente il nostro cuore. Inoltre non si può vendere né comprare, neppure misurare. È assolutamente gratuita. [...]
Per la nostra specie la mezzanotte è scoccata, come per Cenerentola. Abbiamo versato lo spumante e stiamo avvicinando le labbra al calice per bere il primo sorso. Ci riusciremo? Riusciremo a berne un altro e magari un altro ancora? Siamo comparsi sulla scena del mondo con un cambiamento climatico, sarà per le stesse ragioni che ce ne andremo? La nostra piccola meravigliosa Terra si trova in un equilibrio estremamente precario. Non occorre essere degli ideologi catastrofisti per affermarlo, basta semplicemente fermarsi lungo un corso d’acqua e accorgersi che in quell’acqua non c’è più vita o che semplicemente non c’è più l’acqua. Basta osservare la silenziosa ecatombe degli anfibi, l’inarrestabile strage delle api. La Terra ci sta chiedendo disperatamente di riattivare la profonda, calda e vivificante energia del nostro cuore, di purificare il nostro sguardo rendendolo nuovamente capace di distinguere con chiarezza ciò che è necessario da ciò che non lo è. Ci sta implorando di sostituire il frastuono con il silenzio perché solo il silenzio è capace di generare nuovamente parole ricche di senso. Riusciremo a godere di quelle deliziose bollicine oppure lasceremo che siano i topi a tuffarsi nelle coppe di champagne? Ancora una volta, la scelta dipende da noi.