Prospettive. Ma il tempo non è denaro e... non è nostro
Si intitola Siamo tempo. (L’abbiamo scordato?), l’ebook di Gerolamo Fazzini, giornalista e saggista, collaboratore di “Avvenire”, disponibile gratuitamente da oggi sul sito di Editrice missionaria italiana (www.emi.it), di cui pubblichiamo qui uno stralcio. Nel suo testo, attingendo ad analisi di esperti e argomentazioni filosofiche, Fazzini riflette sulla natura del tempo e la sua percezione in questo tempo di «sospensione» causa la pandemia globale. Con questo nuovo libro elettronico, Emi prosegue nella pubblicazione di ebook gratuiti che offrono spunti di riflessione nell’epoca del Covid– 19. La scorsa settimana era stato pubblicato Spaesati in casa. Orientarsi al tempo del Covid–19 a firma del formatore e coach bolognese Francesco Muzzarelli. Informazioni su www.emi.it oppure digital@emi.it.
L’emergenza coronavirus ha innescato una serie di novità, tanto imprevedibili e importanti quanto potenzialmente feconde. Quanto accaduto e sta ancora accadendo ha radicalmente cambiato, almeno per tanti di noi, il ritmo delle nostre giornate, la velocità delle attività in cui siamo impegnati. Non che sia scattata una vacanza generalizzata o giù di lì. Anzi: per molti si è verificato esattamente il contrario (tanti docenti, per essere all’altezza della didattica a distanza, si sono fatti letteralmente in quattro). Ma c’è di più. L’emergenza Covid– 19 si è abbattuta come un uragano su un pianeta che pensavamo tecnologicamente evoluto, abituato a reagire in tempo reale alle disgrazie, a sfoderare soluzioni d’avanguardia per ogni imprevisto. E invece no: questo maledetto virus strisciante, tanto invisibile quanto diabolico, sta mettendo in ginocchio l’Europa, minando economie sin qui solide come quella americana, minacciando interi continenti (cosa capiterà se dovesse sfondare in Africa?). Questo virus ci sta facendo scoprire più che mai fragili. Anche a noi, uomini del terzo millennio, ci è rivelato, come d’incanto, quel che siamo ma dimenticavamo di essere: vulnerabili. E come ai nostri progenitori nel Paradiso terrestre, tutto questo ci fa male. Ce ne vergogniamo, come chi venga denudato e riportato alla sua verità più profonda: il limite. «Il tempo è soltanto il brevissimo momento presente, simile a un cavallo bianco al galoppo, che in un istante sparisce ai nostri occhi».
Narrano le cronache che padre Matteo Ricci, il grande gesuita pioniere della missione moderna in Cina, rispose così al ministro del Personale Li Dai che gli aveva chiesto l’età (Ricci stava per compiere 50 anni). Da profondo intellettuale qual era, il missionario marchigiano aveva chiarissima la coscienza della strutturale provvisorietà o, se preferite, della precarietà ontologica che caratterizza tutti noi umani. Si dirà: Ricci era un uomo del Rinascimento, noi oggi siamo nel XXI secolo, tecnologie, scienza e medicina hanno fatto passi da gigante, l’età media si è allungata moltissimo, anche in molti Paesi in via di sviluppo. E, dunque, oggi il «cavallo bianco» di Ricci galoppa per nostra fortuna a una velocità assai minore. Eppure. Ancora una volta, il Covid– 19 ci ha sbattuto in faccia con una violenza tanto smisurata quanto imprevedibile quanto ragionamenti come quello di poco sopra siano fragili ed effimeri. La grande amnesia consiste nel continuare a pensare che «abbiamo tempo», anziché renderci conto che «siamo tempo». La verità, repetita iuvant, è che il tempo non è nostro e che – sebbene siamo sempre più tentati di entrare nei panni di novelli Prometeo – la nostra essenza di «figli del tempo» non muta, nemmeno col passare dei secoli. La cosa grave è che non l’abbiamo semplicemente dimenticato: l’abbiamo s–cordato, cioè «tolto dal cuore », eliminato dalla nostra consapevolezza più profonda.
Ci sembra di osservare un paradosso di fondo della pandemia dentro la quale siamo immersi: le zone più colpite dal terribile virus (almeno sino al momento in cui scriviamo queste righe), ossia le zone dove di colpo Sorella morte ha fatto visita agli uomini con frequenza e intensità maggiori, sono le stesse dove si lavora e si produce a ritmi più intensi che altrove (e dove, ahimè, l’inquinamento è più alto). Una sorta di contrappasso nemmeno tanto simbolico. In Cina è stata l’industriosissima Wuhan, in Italia la locomotiva– Lombardia, negli Usa è toccato a New York, cuore della finanza mondiale, di quella Wall Street dove, nel giro di pochi secondi, passano fortune economiche gigantesche, flussi di denaro spaventosi. In altre parole, proprio nelle zone in cui la regola era «il tempo è oro», sono totalmente saltati gli schemi. È sempre più evidente che non sono solo i ritmi della giornata, con il Covid– 19, ad essere completamente scardinati. No, è accaduto, sta accadendo molto di più: stiamo toccando con mano quanto vicina a noi, a tutti noi (ricchi e poveri, occidentali e orientali e via dicendo) possa farsi, improvvisamente, la morte. Una morte che miete, senza pietà, amici, familiari e parenti. E ci fa, di colpo, cambiare la percezione fondamentale del nostro essere. Getta una luce abbagliante, come una fotoelettrica nella notte, sulla vita e il suo senso.