Agorà

Storia. Lutero, la Riforma si canta in coro

CHIARA BERTOGLIO venerdì 11 dicembre 2015
Nella storia del cristianesimo, c’è stato un teologo di grande importanza che ha assegnato alla musica un ruolo pari a quello della teologia. Un pastore che ha promosso la musica come strumento di istruzione religiosa e catechetica, nel contesto dell’educazione e della pedagogia, come fonte di conforto e consolazione, come alternativa sacra al canto profano, come mezzo per creare identità ed appartenenza confessionale, e come dimostrazione ed applicazione del principio del sacerdozio universale dei fedeli. Un cristiano appassionato della parola di Dio, che ha visto la musica come sua ancella preziosa ed efficace, per imprimere il testo sacro nel cuore dei credenti, per fungere da vera esegesi e interpretazione teologica e spirituale, per promuovere una vita profondamente evangelica. Un leader religioso, infine, che ha messo in pratica le sue idee sulla musica, e grazie alla cui influenza sulle generazioni successive si sono creati i presupposti sociali, teologici ed artistici per la creazione di alcuni dei massimi capolavori della storia della musica. Si tratta di Martin Lutero. Il terreno propizio per la creazione della sua teologia della musica era stato preparato da due fattori concomitanti, ossia l’indubbio talento musicale e la formazione agostiniana: Agostino e Lutero stesso sono stati probabilmente i più grandi teologi della musica nella storia della Chiesa. Di Lutero sappiamo inoltre che era molto dotato anche nella pratica: suonava diversi strumenti, era in grado di comporre brani polifonici, aveva notevole gusto nel riconoscere i migliori musicisti della sua epoca e nel richiederne la cooperazione, a prescindere dall’appartenenza confessionale. Lutero ricorreva alla musica nei momenti di maggior difficoltà della sua vita, tanto da far scrivere la melodia di un responsorio biblico sulla parete della sua stanza; nutriva inoltre profondo rispetto e sincero affetto per il patrimonio musicale della tradizione cattolica. A differenza di altri riformatori, infatti, mantenne in uso corrente nella sua Chiesa una gran parte del repertorio cattolico, anche in latino, mentre in altri casi realizzò rielaborazioni delle melodie antiche adattandole ai testi in lingua tedesca che aveva realizzato affinché tutti i fedeli potessero cantarle e goderne. Sosteneva peraltro che nessun candidato a ruoli di guida nella Chiesa potesse accedervi senza ricevere un’adeguata formazione musicale, e promosse un’approfondita educazione musicale nelle scuole, maschili e femminili, di cui incoraggiò la fondazione nei territori che aderivano alla Riforma. I bambini, che spesso avevano una scolarizzazione e una cultura superiore a quella dei genitori, a loro volta trasmettevano la conoscenza e la pratica del canto religioso nelle famiglie, diventando a loro modo evangelizzatori ed educatori. D’altro canto, nella teologia luterana del sacerdozio universale dei fedeli, i padri e le madri cristiane erano considerati a pieno titolo i pastori della Chiesa domestica, e la prassi dell’Hausandacht, la preghiera familiare con ampio uso di canti corali, era diffusissima. I primi luterani sostenevano infatti che ciascun fedele, cantando i corali, poteva diventare il 'coro' e il 'pastore' di se stesso; numerose testimonianze confermano la forza del canto religioso per consolare, incoraggiare e istruire. Un celebre pastore della seconda generazione ammetteva francamente di aver ricevuto intenso beneficio spirituale dall’udire i bambini che cantavano i corali per strada; e il fatto che tutti, a prescindere dal loro grado d’istruzione, dalla loro età, dal sesso e dalla condizione sociale, fossero chiamati a lodare Dio cantando insieme, e proclamando la sua parola in musica, era un’esperienza spesso rivoluzionaria per un laicato che talora veniva marginalizzato dalla Chiesa dell’epoca. Tanto forte era questa esperienza, che molti (sia cattolici sia protestanti) compresero che il successo della Riforma era in buona parte dovuto al successo dei corali. Si trattava di canti dalla struttura semplice, parzialmente desunta dal repertorio dei Minnesänger, i trovatori di lingua tedesca. A livello melodico spesso si ispiravano a modelli gregoriani, cercando normalmente di mantenerne la destinazione liturgica (per esempio, trasformando la sequenza di Pasqua Victimae paschali nel corale Christ lag in Todesbanden); frequentemente, tuttavia, la complessità e ricercatezza melodica del patrimonio gregoriano erano ridotte affinché tutti i fedeli riuscissero a cantare insieme. Anche a livello lessicale, il colto dottore in teologia scelse consapevolmente termini molto semplici, comprensibili a tutti, e privilegiò parole brevissime (in una lingua, come il tedesco, che è nota per la lunghezza dei suoi vocaboli). Lutero inoltre non disdegnò melodie di tradizione popolare o profana, fra cui persino dei canti carnevaleschi italiani, purché servissero in modo efficace al suo scopo di divulgare la parola di Dio nella musica. Grazie a queste scelte, Lutero non creò solo un repertorio musicale, ma un intero genere; i corali, proprio in virtù di tali caratteristiche, divennero inoltre il materiale di base per innumerevoli elaborazioni successive, fra cui quelle indimenticabili di Johann Sebastian Bach. Pur essendo stata tanto utile per la diffusione della Riforma, peraltro, la musica non assunse semplicemente il ruolo di un’arma nei conflitti confessionali, bensì spesso funse da legame fra le diverse Chiese, tenendo unite, tramite la preghiera e la bellezza, le comunità che la Riforma e la Controriforma stavano dividendo. E questo è forse il messaggio più attuale di Lutero e della sua musica, in un momento storico in cui, fortunatamente, si cerca di ricomporre l’unità della Chiesa e si considera la sua pluralità in termini di fraternità e non di opposizione: ripartire dalla bellezza e dalla preghiera, di cui la musica è una splendida incarnazione, può servire a creare una comunità di fede a dispetto delle divisioni storiche.