Religione. L'universale urgenza della missione cristiana
Le rovine della riduzione gesuitica Santísima Trinidad de Paraná, in Paraguay
Le vicende dell’evangelizzazione costituiscono un capitolo essenziale della storia globale. Un volume di Ferlan fornisce una trattazione sintetica e sistematica «Se sei nel giusto hai già la benedizione di Dio, se sei nell’errore la mia benedizione non servirà a niente». Come dimenticare le toccanti parole indirizzate da padre Gabriel a Rodrigo Mendoza in uno dei momenti di suspense meglio architettati del celebre Mission. Forse, non molti sanno che la pellicola riprendeva fatti realmente accaduti: il trattato di Madrid, stipulato nel 1750, obbligava la Spagna a cedere al Portogallo parte delle terre evangelizzate dalla Compagnia di Gesù nel Paraguay. Il conflitto tra i Guaraní e l’esercito ispano-portoghese, conseguente al trasferimento al di là del fiume Uruguay di sette “missioni” che fornivano sostentamento a circa 30.000 persone, tra il 1754 e il 1756, avrebbe visto gl’indios difendere coraggiosamente le proprie case.
Vicenda iconica, potremmo dire, capace di mostrare i chiari-oscuri della colonizzazione, costellata, tuttavia, da veri e propri momenti di riscatto. Certo, la storia delle missioni cristiane è lunga e complessa. Generalmente, la si fa cominciare col 1622, l’anno della fondazione della Congregazione De Propaganda Fide, incaricata di coordinare le iniziative volte a diffondere, dentro e fuori l’Europa, la dottrina cattolica. Con ciò, non si può, certo, dire che i milleseicento anni precedenti non abbiano conosciuto alcun afflato missionario. Il cristianesimo si fonda sull’evangelizzazione dei popoli. Nel Nuovo Testamento, il latino «mitto», “invio”, corrispettivo del greco «apostéllo», è utilizzato ben centotrentasei volte. L’“apostolato evangelico” – chiamiamolo così –, sviluppato da tutte le confessioni cristiane, è radicato nel messaggio cristiano.
È quanto sottolineava Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio, del 1990, ricordando Paolo di Tarso: «È lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: “Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!” ( 1 Cor 9,16)». «Il compito fondamentale della chiedi sa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra» – aveva scritto nella Redemptor hominis, del 1979 – «è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo». Si tratta d’un principio mai abbandonato, sorto con la predicazione di Gesù, strettamente legato al carattere universalistico del suo messaggio.
È tale afflato a essere al centro dell’ultimo libro di Claudio Ferlan, ricercatore dell’Istituto storico italo-germanico della Fondazione Bruno Kessler Trento, Storia delle missioni cristiane. Dalle origini alla decolonizzazione, edito per il Mulino (pagine 248, euro 23,00). Quattro densi capitoli, dedicati ad altrettante fasi di quella che può ritenersi una presenza costante nella storia del cristianesimo, di cui sono illustrate luci e ombre, dalle conversioni forzate, nonostante la perdurante contrarietà della Chiesa, alle conversioni “evitate” (è il caso del battesimo negato agli schiavi per evitarne la manomissione), all’odierna reinterpretazione d’una Chiesa missionaria per definizione. Siamo di fronte a una vera e propria storia globale, affatto interrottasi con la fine della decolonizzazione, capace di favorire un cambio di paradigma in favore d’un più diffuso sentimento ecumenico. Una storia che affonda le proprie radici negli albori del cristianesimo.
Le religioni antiche non avevano interesse al proselitismo. Intendiamoci: non che non esistessero pressioni volte a propagandare il proprio culto quale il più efficace ma, certo, l’idea stessa di esclusivismo cultuale, sviluppata dai monoteismi, non era sviluppata. Tra questi, a ogni modo, e tra quelli abramitici, in particolare, l’approccio alla conversione ha seguito strade diverse: laddove l’ebraismo, in conseguenza della diaspora, è andato sviluppando forme parziali – è il caso dei cosiddetti “timorati di Dio”, non circoncisi (un tema su cui il dibattito è aperto) –, i giudeocristianesimi, prima, la Chiesa nascente, poi, hanno dimostrato sin da subito una tensione universalistica. Non diversamente, del resto, dall’islam, che sulla conversione, più pacifica di quanto si pensi, ha fondato la propria diffusione.
Nel corso dei secoli, il cristianesimo ha abbracciato molteplici forme di diffusione, spesso violente. Annoso è il dibattito, ad esempio, sul rapporto instaurato in età medievale tra “crociata” e “missione” – ma sarebbe meglio dire «persuaso» (“persuasione”), essendo il latino «mitto» riservato ai rapporti interni alla Trinità – e si discute ancora se Francesco d’Assisi abbia abbracciato un pacifismo “senza sé o senza ma” ovvero abbia condiviso coi combattenti di Damietta il significato penitenziale della crociata recando al sultano un’istanza di conversione. E che dire, poi, dell’apertura degli oceani? Siamo di fronte, insomma, a una vicenda importante, che Ferlan raccoglie e rielabora in un libro di piacevolissima lettura, corredato da una significativa appendice di testi, accompagnando il lettore attraverso duemila anni di cristianesimo.