Agorà

IL FESTIVAL. Loach e Cantona stregano Cannes con una favola tra crisi e calcio

Alessandra De Luca martedì 19 maggio 2009
Dopo tutto il sangue, i corpi smembrati, le carni lacerate, il dolore e la sofferenza dei film visti negli ultimi giorni, capaci di mettere a dura prova anche la pa­zienza dei cinefili più smaliziati, Looking for Eric di Ken Loach (in au­tunno nelle sale italiane distribuito da Bim) che porta sullo schermo l’ex campione del Manchester United, il francese Eric Cantona, arriva in con­corso a Cannes come una fresca e sa­lutare boccata di os­sigeno, una flebo di ottimismo più ne­cessaria che mai. No­nostante continuino a piovere pietre, la working class dipin­ta dal regista ora bal­la il rock e Loach svolta verso la com­media con un film al­la Woody Allen che scatena risate e applausi a scena a­perta riconciliando con la bellezza della vita la platea di un festival, que­st’anno più cupo che mai. Come nel film di von Trier, anche qui il protagonista è un personaggio in crisi, ma la terapia per venirne fuori è decisamente diversa da quella pro­posta dal regista danese. Eric Bishop fa il postino, ma i suoi attacchi di pa­nico gli impediscono di avere una re­lazione stabile. Il suo primo matri­monio è andato in frantumi, lo stesso è capitato al secondo, e ora l’uomo deve fare i conti con due turbolenti fi­gliastri, una nipotina del quale si pren­de cura per aiutare la figlia a studiare e il desiderio di riavvicinarsi alla pri­ma moglie che non ha ancora di­menticato dopo 30 anni. Quando tut­to sembra scivolargli di mano, ecco che in suo aiuto arriva un amico im­maginario, una sorta di guida. «Non sono un uomo, sono Eric Cantona» gli dice non senza ironia il suo idolo, ma­gicamente materializzatosi nella sua camera. Con l’aiuto del calciatore il postino comincerà a risollevarsi buttandosi dietro le spalle le proprie miserie. In­terpretato da un coro di straordinari attori capeggiati da Steve Evets, il film strappa l’applauso del pubblico quan­do Eric il postino dice no alle prepo­tenze dei malavitosi che hanno mes­so nei guai il figliastro dando il via al­l’Operazione Cantona: armati di maz­ze da baseball e vernice rossa e na­scosti dietro una maschera che raffi­gura il volto del calciatore, uno scate­nato gruppo di amici e colleghi di­strugge casa e macchina dei malcapi­tati boss. L’idea del film è partita proprio da Cantona, che al regista aveva propo­sto un film sul suo rapporto con un tifoso. Un progetto irrealizzabile che però ha suggerito allo sceneggiatore Paul Laverty un’altra storia che riflet­tesse comunque con il ruolo che il cal­cio ha nella vita delle persone e con il concetto di celebrità. «Ho pensato che fosse finalmente arrivato il momento di realizzare un film che facesse sor­ridere – dice Loach – anche se la com­media non è altro che una tragedia a lieto fine. Con questa storia abbiamo cercato la verità della vita che a volte è triste, ma spesso anche lieta e di­vertente » . E per parlare della com­plessità dell’esisten­za, il calcio funziona come un’ottima me­tafora. «Il calcio è l’e­spressione di una co­munità – aggiunge il regista – e ha la fun­zione di far incontra­re la gente nello stes­so luogo, cosa che anche il cinema do­vrebbe fare». Da parte sua, Eric Cantona, ex calcia­tore e ora attore e produttore esecu­tivo del film, non nasconde quanto sia stato «speciale» interpretare se stes­so: «È stata un’esperienza molto po­sitiva. Ken Loach è simile per certi a­spetti ad Alex Ferguson: entrambi con molta umiltà riescono ad ottenere il 100% dalle persone con cui lavorano».