Tania Cagnotto, Federica Pellegrini e Flavia Pennetta? Sono delle dilettanti. Non si tratta di un giudizio - il valore di queste tre campionesse, infatti, è indiscusso - quanto una constatazione di fatto: per lo Stato italiano le atlete azzurre, che vincano una medaglia olimpica o facciano sventolare il tricolore in giro per il mondo, sono considerate comunque delle “dilettanti”. Colpa di una legge, la n.91, ormai obsoleta (è datata 23 marzo 1981), che regola il professionismo in Italia e che ora un’iniziativa parlamentare guidata dalla vice presidente del Senato, Valeria Fedeli, vuole modificare. Una norma che lo stesso Coni vorrebbe rivedere, ma inserendola in una legge quadro sullo sport più ampia.Tra le 45 federazioni appartenenti al comitato olimpico italiano soltanto quelle di calcio, ciclismo, golf e pallacanestro hanno degli atleti professionisti (pugilato e motociclismo hanno deciso di tornare tra i dilettanti) e soltanto nei campionati maschili. Le donne, invece, sono “dilettanti” in tutto. Eppure nella rosa dei papabili portabandiera ai Giochi di Rio 2016 figura proprio la triade dilettante: la campionessa del nuoto, Pellegrini, quella dei tuffi, Cagnotto e la vincitrice degli Us Open di tennis, Pennetta. «Non ho dubbi: il portabandiera sarà una donna e loro tre possono tutte rappresentare l’Italia in maniera perfetta - garantisce la deputata Pd, Josefa Idem, firmataria del ddl al Senato -. Delle vere professioniste dello sport anche se per la legge sono soltanto dilettanti». L’olimpionica del canottaggio sa bene cosa vuol dire essere donna e atleta. «Ho provato a fare un mondiale incinta perché sarei entrata nel club olimpico - ricorda -. Fu una scelta strategica per avere una piccola pensione di 500 euro». Un mondiale da incinta - di due mesi - e uno da puerpera per la Idem «perché -spiega - non volevo sperimentare su di me il vuoto normativo». Ad una atleta dilettante, infatti, non vengono assicurate le garanzie contributive, previdenziali e sanitarie previste dagli inquadramenti contrattuali. Capita, invece, che nei loro contratti siano inserite clausole legate alla maternità: se sei incinta, il contratto si annulla e ti ritrovi automaticamente senza lavoro.Patrizia Panico, capitano della Nazionale femminile e attaccante della Fiorentina (prima società di calcio di Serie A ad aver una squadra “gemella” tra le donne) è da sempre impegnata in prima linea in difesa dei diritti delle atlete. «Giocare con i maschi ti mette subito dinanzi a una realtà di lotta come calciatrice e come donna - sottolinea in un video postato in questi giorni su Facebook - . Quando ero piccola, infatti, dovevo vincere la diffidenza dei maschi perché in quanto femmina non puoi competere. I miei successi mi hanno dato la credibilità per parlare di donne, ancor prima che di atlete. Ma il mondo del calcio con la sua disparità di trattamento non è che lo specchio della nostra società». Qualcosa si sta muovendo sotto la presidenza della Figc di Carlo Tavecchio, ma il confronto con le altre realtà europee (Germania e Svezia su tutte) rimane triste; quello con i maschi è addirittura impietoso: in una formazione di vertice le cifre variano da poche centinaia di euro mensili a uno stipendio di 1000-1400 euro al mese, ma il più delle volte si tratta soltanto di rimborsi spese.Una distanza abissale con i 6,5 milioni di euro a stagione incassati dal centrocampista della Roma, Daniele De Rossi, il più pagato della Serie A, che guarda dall’alto anche Marta Vieira da Silva, definita la “Pelè in gonnella” dallo stesso campione brasiliano, che agli svedesi del Rosengård guadagna circa 360mila euro a stagione. «Non abbiamo niente che tuteli il nostro futuro - riconosce la Panico -. Non chiediamo competizione, ma condivisione. Il professionismo è solo un passo verso il riconoscimento del nostro lavoro. Siamo già forti ognuna nella sua disciplina, insieme lo saremo ancora di più». Ma le atlete sono indignate: «Sono pronte a non accettare più uno stallo indecente», assicura Luisa Rizzitelli, presidente dell’associazione Assist che sabato ha riunito a Roma tante sportive ed ex. Tra le “dilettanti” ci sono Tania Di Mario, azzurra della pallanuoto, oro olimpico ad Atene 2004. Ma una delle sue vittorie più grandi è stata l’aver ottenuto la parificazione dei premi tra uomini e donne: «Lì ho capito cosa vuol dire essere sportiva e donna», spiega. Anche lei però guarda al proprio futuro con un po’ di timore: «Non ho avuto l’opportunità di avere un figlio perché nessuno mi avrebbe aspettato. Soltanto quando appenderò la calottina la mia vita ripartirà di nuovo».La giovane Arianna Cau, campionessa di wakeboard e snowboard, alla sua prima olimpiade sogna ancora di parteciparvi. «Lavoro ogni notte per permettermi le iscrizioni alle gare - racconta -. Ho acquistato un furgone, viaggio di notte da sola, faccio le gare e torno a casa. Mia madre mi dice perché porti le medaglie all’Italia e non ti danno niente? E io sempre lì a risponderle: lo faccio perché la discriminazione e la mancanza di soldi non mi fermeranno».