C’era una volta il Foggia di Signori, Baiano e Rambaudi. Qualche tempo dopo, persa la brillantezza dei giorni migliori, conobbe il fallimento e da allora non è mai tornato quello di una volta. C’era anche un Mantova dai grandi sogni: nel 2006 accarezzò fino all’ultimo l’idea di rivedere la Serie A; il crack societario avvenne da lì a tre anni. Nove volte su dieci, la scintilla dell’azionariato popolare scatta qui: come reazione d’orgoglio dei tifosi, che tentano di “riprendersi” la squadra, e in alcuni casi ci riescono. Il calcio schizofrenico fatto di illusioni milionarie e cadute vertiginose, quello non lo sentono loro. Nel 2010, poche settimane dopo il fallimento della vecchia società, il 25% del nuovo Mantova è finito in mano a una cooperativa, il Mantova United, che tra quote, sponsor e raccolte fondi ha messo a disposizione qualcosa come 250mila euro; fondamentali, per allestire un undici “ammazzacampionato” in serie D e pronto a rientrare in Lega Pro. Con il salto di categoria, la percentuale della cooperativa è scesa al 10%; un impegno comunque importante. Pari a quello che l’associazione Squadramia mise nell’allora (era il 2009) Asd Santarcangelo Calcio; i romagnoli sfiorarono prima, e centrarono dopo, la storica promozione nel calcio professionistico, e si trovano oggi al punto più alto mai raggiunto in 85 anni di storia. Un esperimento, quello di Squadramia, meno legato al territorio e più simile a un Fantacalcio reale, con i tifosi-presidenti pronti a suggerire via internet la formazione al mister. «In Italia non c’è ancora una mentalità pronta all’azionariato popolare - spiega il segretario generale del Mantova United Glauco Nicolini, citando i nomi altisonanti di Real Madrid e Barcellona (ma anche di club tedeschi e inglesi), in mano ai sostenitori delle rispettive squadre -. È però un’esperienza che coinvolge il tifoso. Per esempio, gli fa accettare l’idea che il grande campione non si può avere a tutti i costi; deve pagarlo nel suo piccolo anche lui». L’azionariato popolare, almeno in Italia, ancora non “sfonda”; i 250 soci del Mantova United sono briciole, in confronto agli oltre 4mila che nel 2005 fondarono lo United of Manchester, a cui i lombardi si sono ispirati. Chi parte oggi, va detto, incontra più difficoltà: regalare 100 euro alla propria squadra del cuore è sempre più un piccolo lusso che non tutti possono permettersi. In Emilia, la Cooperativa Modena Sport Club deve fare i conti. «Raccogliendo 3 milioni di euro entro giugno, anche tramite contributi di imprenditori, saremo in grado di gestire il 59% delle quote che un socio si è detto disposto a cedere», spiega Andrea Gigliotti, al vertice della cordata di tifosi. Altrimenti, si terranno l’1% acquisito nel 2011. «Bisogna fare un passo alla volta - spiega il sostenitore gialloblu -. In Argentina e Spagna, Paesi che abbiamo come modelli, gli azionariati popolari hanno iniziato con numeri bassissimi, come i nostri di oggi». Per David Miani, di “Sosteniamo l’Ancona” (13mila euro raccolti e 2% di quote), «l’obiettivo principale è portare i valori dello sport, che non può essere solo un business». I calciatori marchigiani (serie D), di tanto in tanto, visitano l’oratorio Don Bosco o fanno servizio alla mensa del povero. «Lo sport deve essere dei tifosi e della città - ribadisce Miani -. La partita deve essere solo un momento, non tutto». I ragazzi di “MyRoma” (associazione con una quota minima nel club capitolino quotato in borsa, inversamente proporzionale alla passione per i colori giallorossi) all’ultimo derby hanno accompagnato allo stadio 15 disabili, tra cui alcuni tifosi laziali.Il Lucca United (206 soci) ancora non è entrato nella neonata Fc Lucca, promossa matematicamente in serie D (la Lucchese, protagonista di un filotto di campionati in serie B negli anni ’90, è precipitata in Terza Categoria e dichiarata fallita nei giorni scorsi). Non ancora, almeno: c’è un progetto per l’estate, sembra ben avviato. Proprio nella città toscana, sabato 24 marzo, si ritroveranno alcune delle 50 associazioni e cooperative italiane che sperano di portare i tifosi all’interno delle società, o che questo sogno lo hanno già realizzato; potrebbe essere il primo passo verso la nascita di una vera e propria Federazione degli azionariati popolari. Calcio, soprattutto, ma non solo: i 333 donatori del Trapanesi Granata ci misero la passione - e quasi 50mila euro, pari all’8,25% delle quote - per dare solidità economica alla squadra di basket promossa in Lega Due. Non bastò. La nuova proprietà non ha voluto mollare i tifosi; ha continuato a coinvolgerli, lasciando a loro il 5%. La Pallacanestro Trapani, ripartita dalla Divisione Nazionale C, quest’anno ha collezionato 25 vittorie su 25 partite. L’obiettivo è quello di tornare nella massima serie, abbandonata negli anni ’90. Se ci si riuscirà coinvolgendo una città intera, sarà davvero un grande gioco di squadra. Quello della Pallacanestro Varese (in piena corsa per i play off), invece, non è un vero e proprio azionariato popolare ma una sorta di cooperativa di aziende: il “Consorzio Varese nel Cuore” è composto da una sessantina di imprese, anche di piccole dimensioni, con una quota associativa minima di 10mila euro. Un esempio, comunque, unico nello sport professionistico.