Le storie. Lo sport in guerra: gli atleti-eroi ucraini in divisa e i dissidenti russi
Il russo Miranchuk dell'Atalanta segna ma non esulta per rispetto del compagno di squadra ucraino Malinovskyi
Ci sono immagini così belle che parlano da sole. L’esultanza trattenuta fino alle lacrime di Aleksej Miranchuk, giocatore russo dell’Atalanta, dopo il gol alla Sampdoria, è la fotografia che ritrae l’altro volto della guerra nello sport. Quello di tutti gli atleti russi che dissentono dall’invasione voluta da Putin: affranti per l’inferno che stanno vivendo i fratelli ucraini, pagano alla fine per colpe non proprie. Soffrono pensando al dramma anche dei tanti, tantissimi colleghi sportivi dell’Ucraina chiamati alle armi: sono loro le vittime sul campo di questo conflitto. Da atleti a soldati improvvisati, pronti a morire per la propria gente. Come l’ucraino Yevhen Malyshev, non ancora ventenne, che faceva parte della nazionale giovanile di biathlon ed è stato ucciso durante i combattimenti. Medagliati o sconosciuti, sono oggi in prima fila in una difesa straziante: dall’ex campione di ciclismo Andrei Tchmil al fuoriclasse del nuoto, il 25enne Mykhaylo Romanchuk, amico del nostro Gregorio Paltrinieri: «Gli ho detto molte volte che, se avesse voluto, sarebbe potuto venire in Italia, lo avrei ospitato io. - ha detto l’azzurro - Ma preferisce restare lì, vuole combattere fino alla fine». Un coraggio eroico che accomuna uomini e donne: Yuliia Dzhima, oro olimpico nella staffetta del biathlon a Sochi 2014 si è arruolata nell’esercito. Con lei anche il collega biatleta, Dmytro Pidruchnyi, campione del mondo dell’inseguimento a Oestersund 2019.
Ma in divisa sono finiti anche Dmytro Mazurtsjuk, che solo poche settimane fa era impegnato alle Olimpiadi di Pechino nella combinata nordica. Poi ci sono i pugili Vasyl Lomachenko, campione olimpico dei pesi leggeri nel 2012 e campione del mondo in tre diverse categorie: nei giorni scorsi avrebbe dovuto salire sul ring per riconquistare la cintura dei pesi leggeri ma non ha esitato a salire sulle barricate. Senza dimenticare però Oleksandr Usyk, il campione del mondo dei pesi massimi che prima di lanciarsi in battaglia aveva esortato la Russia: «Mi rivolgo al popolo russo. Se ci considerate fratelli ortodossi, non lasciate che i vostri figli e il vostro esercito vadano nel nostro Paese, non combattete con noi. Mi rivolgo anche al presidente Vladimir Putin. Puoi fermare questa guerra». E dalla boxe arrivano anche i fratelli Klitschko: Vitali, oggi sindaco di Kiev ma ex campione dei pesi massimi negli anni 2000, e suo fratello minore Wladimir, anche lui ex campione dei massimi per due volte.
C’è poi il tennista Sergiy Stakhovsky, oggi 240° nel ranking Atp, noto soprattutto per aver battuto Roger Federer al secondo turno di Wimbledon nel 2013. Il giocatore oggi 36enne, pur senza alcuna esperienza, prenderà le armi sapendo bene quale destino lo attende: «Non potevo rimanere a guardare. Resisteremo ma ammettiamolo, la Russia è un paese di 140 milioni di persone che si estende dall’Europa all’Alaska, sarà molto difficile resistere a lungo». C’era questa consapevolezza anche negli occhi di Miranchuck l’altra sera a Bergamo dopo la sua rete. Lui che sta vivendo da vicino l’angoscia del suo amico e compagno di squadra Ruslan Malinovskyi non ce l’ha fatta ad esultare. E la didascalia più bella è la frase che ha scritto l’altro atalantino Matteo Pessina per spiegare il loro rapporto fraterno: «Il calcio unisce ciò che la follia umana prova a dividere».
Ora russi e bielorussi sono stati banditi dallo sport. Dopo la raccomandazione del Cio a non invitarli in tutte le competizioni internazionali, sono arrivate l’esclusione della Nazionale russa dai Mondiali di calcio e l’estromissione dei club russi dall’Eurolega di basket. Ma via via si sono allineate tutte le altre federazioni: dall’atletica allo sci, dal rugby al ciclismo e alla pallavolo che ha annullato i Mondiali in Russia di quest’anno. E anche nel tennis dove a livello individuale potranno giocare ma senza bandiera. Lo sport ha scelto la linea della fermezza nella speranza che un segnale forte riesca a fermare la guerra. Certo sono provvedimenti che lasciano il segno sugli atleti che pagano le scelleratezze dei loro politici. Dejan Savicevic, ex campione del Milan, a Repubblica ha confessato come sia il suo grande rimpianto l’esclusione della Jugoslavia dagli Europei del ’92: «Sia chiaro non è che difenda Putin o non sia solidale con la gente ucraina. Ma ho vissuto sulla mia pelle un’esclusione per scelta politica. Gli atleti non hanno colpa. Giocare le partite è sempre un messaggio di pace». In guerra perdono tutti, ma lo sport è sempre capace di stupire, e la speranza di un mondo nuovo viene oggi anche dagli appelli coraggiosi di tanti atleti russi.
Dai tennisti Medvedev e Rublev fino a una delle più grandi pallavoliste di sempre Ekaterina Gamova che non ha usato mezzi termini: «Questa pagina vergognosa rimarrà per sempre nella storia del mio Paese. Non avrei mai immaginato che la Russia avrebbe attaccato uno stato europeo, bombardato e sparato. Il mondo intero ora è contro la Russia, impone sanzioni. Non vogliono vederci nei loro paesi, vogliono isolarci. Il nostro governo deve fermarsi il prima possibile. Avrei potuto tacere? Avrei potuto. Ma mi vergogno e ho paura. Sappiate che in Russia ci sono molte persone contrarie a ciò che sta accadendo. Mi dispiace». E l’ex stella del volley ha poi aggiunto: «Davvero non si riesce ad andare d’accordo senza una guerra? Le persone comuni non hanno nessuna colpa, ma sono le prime a soffrire. Mi ricorderò per tutta la vita di questo giorno: ho guardato mio figlio e le lacrime sono scese da sole».