Arte e fede. L'architetto Arafa: «Lo spazio sacro chiama a pregare»
La moschea di Basuna, in Egitto
«Il luogo sacro non è un’isola separata dal resto. Tutto è sacro, e progettare una moschea non è diverso da progettare una scuola o un campo da gioco: ma il messaggio dev’essere chiaro e l’identità evidente». L’architetto egiziano Waleed Arafa è chiamato a parlare su “Il Sacro in architettura. Alla ricerca di un futuro” oggi ad Assisi insieme con altri relatori quali Paolo Portoghesi, Andrea Dall’Asta, Mario Botta, Paolo Zermani, in occasione dell’apertura della mostra su “Costruire il sacro, chiese, moschee, sinagoghe” che fa parte del festival di architettura Seed. « La sacralità – sostiene Arafa – non è collegabile al tempo lineare: è senza tempo, poiché viene da Dio che è oltre il tempo e lo spazio. Chi crede di non credere in nulla ama immaginare le persone che hanno fede come appartenenti a un mondo tramontato, precedente a quella che è stata annunciata come l’epoca in cui “Dio è morto”. Proprio per questo s’è diffusa l’idea che siamo padroni della Terra e possiamo usarne come meglio ci aggrada. Ne vediamo le conseguenze nella crisi ecologica. La natura è un dono di Dio, e dobbiamo rispettarlo: solo se sapremo farlo potremo migliorare il modo di intendere la scienza, le tecnologia, l’architettura, l’industria, l’economia. Penso che il futuro del mondo sia in pericolo se la spiritualità non torna a diffondersi. E anche l’architettura è chiamata alla spiritualità».
Si stanno erigendo nuove città con edifici di sgargiante lussuosità e maestose torri in Arabia Saudita, Dubai e attorno al Cairo: come si conciliano le architetture religiose con questa profusione di ricchezza?
Premesso che ho qualche riserva su come sta costruendo ora nelle regioni cui si riferisce, per quel che riguarda gli edifici di carattere religioso noto che in arabo si usa dire che per ogni luogo e per ogni tempo c’è sempre una risposta giusta. Una moschea può essere molto semplice e umile, ma può anche essere sgargiante e lussuosa. Prendiamo la Kaaba per esempio, la prima moschea: è un cubo, essenziale e povero. Ci sono altre moschee molto lussuose, come la Cupola della Roccia a Gerusalemme o la Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco. Ma occorre chiedersi: erano appropriate per il contesto in cui furono costruite? Sì, lo erano. Proprio come la grande moschea di Hasan, costruita al tempo del sultanato mamelucco, quando l’Egitto era un Paese ricco e potente. In quei contesti il lusso era inteso come manifestazione di devozione ed era proporzionato al potere dei costruttori; invece se fosse stato inteso come esibizione di potere sarebbe stato perverso. Ma era pensato come servizio per la comunità. Nella mosche di Hassan ci sono cucine per dar da mangiare ai poveri, residenze per ospitare gli studenti e i docenti della madrasa, ambienti dedicati all’assistenza. Se i ricchi hanno i loro palazzi, i poveri trovano nella moschea il loro palazzo, che chiunque può sentire come suo. E tutto rimanda alla spiritualità: le calligrafie, lo splendore dei materiali, le proporzioni geometriche. Dio è poderoso e misericordioso: potere e misericordia sono forse tra loro opposti? No, perché Dio è tutto. E così noi dobbiamo parlare attraverso tutte le possibili espressioni che a Lui rimandano.
Ma l’architettura varia nel tempo e lei luoghi: cambiano stili, tecniche costruttive e il modo in cui gli edifici si presentano.
Anzitutto l’architettura non deve mai incidere negativamente sulla natura. E tanto meno lo deve fare una casa della preghiera: sia moschea, chiesa o sinagoga dev’essere sempre coerente con la natura e col contesto in cui si pone. La prima moschea del Profeta era simile agli edifici a lei vicini, semplice e povera. E quando i musulmani si sono diffusi in altre zone, hanno costruito secondo le modalità che lì si praticavano. L’architettura richiede autenticità e questa si fonda sull’identità delle diverse culture. L’islam è culla di civiltà e ha contribuito alla crescita culturale in tante parti del mondo: dal Medio Oriente all’India, alla Cina, all’Africa. Ovunque Dio ha creato diversità, e noi esseri umani ne godiamo proprio perché ogni cultura contribuisce a tutte le altre. Che cosa sarebbe il mondo se non avesse l’Italia? Mancherebbe di qualcosa di fondamentale, noi tutti che non siamo italiani mancheremmo di qualcosa che per noi è importante. Lo stesso si può dire di qualunque altre cultura. Per cui l’imitazione non va bene, perché fa perdere il senso di quel che siamo, della specificità che Dio ci ha dato, mentre proprio grazie alle nostre specificità possiamo dialogare e arricchirci vicendevolmente.
Nella moschea di Basuna, da lei progettata, spiccano il minareto e la cupola: sono segni qualificanti per la tradizione del luogo di culto musulmano?
La tradizione non è legata allo svolgersi del tempo: è un’idea senza tempo. Ma l’architettura ha espressioni che sono legate al tempo. La tradizione islamica è semplice e poderosa: si fonda sull’adorazione. Si adora Dio in qualsiasi momento e in ogni luogo: nel lavoro, nel mangiare, nell’educare i bambini… ma c’è un momento in cui l’adorazione assume una veste particolare, ed è quando parli direttamente a Dio e lo ascolti attraverso le parole del Corano. Questo avviene nella moschea. La forma è espressione di tradizione? Non lo credo. Il minareto non è una parte essenziale della moschea. Oggi in Svizzera e altri Paesi è vietato erigere minareti. Non importa, il luogo della preghiera non ha bisogno di minareti o di cupole. Deve solo essere adatto a pregare: là dove si trova, nel suo contesto, nel suo tempo. Guardando a quel che trascende il tempo.
Tra spirituale e sostenibilità
Il Festival Seed (seme in inglese) è in corso in Umbria fino a domenica. Centrato in Perugia e diffuso tramite una nuova “agorà digita-le”, ha lo scopo di “promuove una cultura della sostenibilità argomentata e consapevole, attraverso un processo di analisi delle principali tematiche ambientali su differenti scale, per disegnare il futuro dei centri urbani e dei territori”. È articolato in diverse sessioni che riprendono una ricerca multidisciplinare riguardante la natura e la spiritualità. È organizzato dalla Fondazione Guglielmo Giordano e promosso dall’Istituto Nazionale di Architettura e dalla Fondazione Umbra per l’Architettura, col sostegno delle Autorità regionali, provinciali e cittadine di Perugia e Assisi. Non è inteso come una semplice manifestazione, ma come una vera e propria comunità che invita gli esperti delle diverse discipline a collaborare al disegno delle città e dei territori. Il programma del festival è disponibile sul sito seed360.org. (L. Ser.)