Sguardi oltre la crisi. Chevillard: lo scrittore e il virus, storia d'antagonismo
Da anni, sul blog “L’Autofictif”, Éric Chevillard tiene un diario di scrittura che, nel primo periodo dell’emergenza coronavirus in Francia, si è provvisoriamente trasferito sulle pagine del quotidiano “Le Monde”. Dettata tra il 19 marzo e il 12 maggio, questa «cronaca del confinamento » esce ora in anteprima in Italia per iniziativa della casa editrice Prehistorica con il titolo Sine die (traduzione di Gianmaria Finardi, pagine 80, euro 10,00).«Non arriverò ad affermare che questa esperienza sia stata un colpo di fortuna per me», avverte Chevillard, autore di forte complessità sperimentale, apprezzato anche nel nostro Paese grazie ai libri pubblicati da Del Vecchio e dalla stessa Prehistorica. «Eppure – prosegue – nello scrittore che si rapporta a una situazione nuova, perfino penosa o dolorosa, ci sarà sempre una specie di eccitazione. Ecco finalmente un argomento inedito, dice a sé stesso. Ecco finalmente un soggetto nuovo! Alcuni scrittori hanno potuto superare così prove molto più dure del confinamento domiciliare. Le cronache che ho tenuto durante questo periodo portano probabilmente la traccia di quel brio paradossale e del vago rimorso che lo accompagnava».
Non è un rischio esporsi quando sono già in molti a prendere la parola?
Ha ragione. Ho provato talvolta scoramento di fronte a questo dilagare di commenti, di analisi, ma anche di parodie e di scherzi. Il campo di osservazione era nuovo, ma ci eravamo dentro tutti, a osservare le stesse cose. La singolarità del punto di vista, che contraddistingue solitamente lo scrittore, non sembrava più tanto originale. Ognuno a casa propria, eppure ci pestavamo i piedi. D’altra parte, che bella sfida! Mi è capitato di pensare che si dovrebbe distribuire ogni anno agli scrittori un soggetto unico e imposto, e vedere come se la sbrogliano. È quello che è successo questa volta.
Il virus, lei osserva, è come un personaggio secondario che rubala scena al protagonista.
Nel principio di contaminazione di un organismo da parte di un vi- rus c’è qualcosa che somiglia alla maledizione dell’artista, alla sua ossessione per il soggetto che sta trattando. Gli sembra di incontrarlo ovunque. Allora la tentazione è doppia e contraddittoria: lasciarsi interamente possedere e invadere dal soggetto, oppure liberarsene rigettandolo fuori da sé. L’organismo è accogliente per il virus; allo stesso tempo, sviluppa anticorpi per sbarazzarsene. Il virus ha contaminato la mia scrittura (non ho potuto scrivere su nient’altro per due mesi), ma ho potuto circoscriverlo e isolarlo nei testi di Sine die.
Nella sua cronaca dichiara di praticare l’umorismo come «forza di resistenza»: in che senso?
L’umorismo è spesso abitato da una sorta di malinconia, dal rammarico di disporre solamente di un sorriso per rifare il mondo. Perché un sorriso è insufficiente, si sa. Persone più intraprendenti, più ottimiste o ingenue, a seconda, reagiscono con maggior vigore e risolutezza, e anche con maggior efficacia dello scrittore umorista. Ma quest’ultimo opera contro l’angoscia. Non può nulla contro le cause del disastro, allora se la prende con i tormenti che ci affliggono e ci straziano, racchiude l’esasperante zanzara in una graziosa bolla di sapone che diverte i bambini e si irida alla luce. Non è del tutto inutile. È una posizione filosofica. O un’arte marziale.
Com’è cambiato in queste settimane il nostro rapporto con gli spazi domestici?
Di sicuro tutti abbiamo fatto un’esperienza nuova del “casa, dolce casa”. È stato molto istruttivo ritrovarsi di colpo spaesati nel proprio appartamento. Nell’ambiente familiare potevano nascere la paura, la noia, il conflitto, ma anche l’incongruo. Ciò che pensiamo di conoscere bene, semplicemente non lo abbiamo praticato abbastanza. In via ideale, questa esperienza del confinamento avrebbe dovuto trasformarci tutti in poeti del quotidiano, capaci di far dischiudere sorprese nel corso delle giornate più piatte, più ripetitive, e distillare ancora un’acquavite rinvigorente a partire dai nostri fiori appassiti. Non si parte se non per tornare. Girare in tondo nel proprio salotto significa fare per intero, cento volte al giorno, questo viaggio tanto arricchente.
E il mondo là fuori? Ora è veramente diverso?
Non ho la pretesa di rispondere. Abbiamo scoperto che il mondo stava meglio quando l’uomo lo disertava. Acqua e aria pure, canti d’uccelli, Venezia che sale dolcemente verso il cielo… Lezione un po’ umiliante, ma che meritavamo. Sono molto sensibile alle questioni ecologiche, in particolare a tutto ciò che tocca la vita animale. È certo che l’uomo dovrà imparare a farsi più discreto. Ma le ricordo che sono uno scettico.
Però sostiene di aver rivalutato la vita monastica.
Forse ci salverà l’istinto di sopravvivenza. Ancora una o due calamità come questa e adotteremo di riflesso il basso profilo che si impone. La decrescita sarebbe una conseguenza del disastro economico che si preannuncia nelle nostre società, e questo potrebbe costituire una chance per il mondo. Ma prima occorrerebbe che decrescesse il numero di quanti trovano ancora il modo di approfittare delle crisi per arricchirsi.
Abbiamo bisogno anche di una nuova lingua per comprenderci meglio?
Il fatto che un editore italiano si prenda la bella premura di proporre tempestivamente le mie cronache dimostra che non siamo diventati sordi e muti: che la parola si scambia ancora. Ma la cacofonia è un rischio. Rispetto alla letteratura, mi interrogo su che cosa aspettarmi e sono molto indeciso: deve accompagnare il movimento di riforma del mondo, essere anche il luogo della riflessione politica e dell’impegno sociale? Oppure è meglio che opponga la sua assolutezza a quella della realtà, che non vi si sottometta, che sia un mondo a sé, quello della speculazione poetica, dell’invenzione delle forme e dell’immaginazione? Non appena avrò deciso, glielo farò sapere.