L'attore. Lino Guanciale: «Fiction e teatro, amo rischiare sulla qualità»
Lino Guanciale al Piccolo Teatro Grassi di Milano in "Zoo" di Sergio Blanco
«Io sono arrivato ad avere una certa riconoscibilità, e trovo che cimentarmi in progetti più rischiosi sia il modo più intelligente per lavorare sul mio futuro e per cercare di rendere un servizio a prodotti ambiziosi». Lino Guanciale è uno di quegli attori di grande successo che sanno costruire la loro carriera puntando su una qualità crescente. L’attore 42enne, diplomato all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, ha appena concluso la prima stagione della bella serie Noi per Rai 1 e nel frattempo, fino al 5 maggio, è in scena al Piccolo Teatro di Milano protagonista di Zoo spiazzante testo dell’autore contemporaneo franco uruguayano Sergio Blanco prodotto dal teatro milanese.
Lino Guanciale, la sua collaborazione col Piccolo Teatro, diretto da Claudio Longhi, si farà sempre più stretta?
In effetti Zoo è il primo passo di un progetto più ampio, il primo capitolo di una collaborazione che mi auguro fruttuosa. Il Piccolo è il Piccolo, è la storia del teatro pubblico d’arte per tutti. Un teatro che racconti il presente, attento alla contemporaneità, agganciato ai movimenti e ai momenti più interessanti della scena internazionale. Claudio è molto bravo a intuire prima degli altri quelli che possono diventare dei fatti teatrali importanti.
È il caso di un autore come Sergio Blanco?
Blanco è messo in scena ovunque, è un autore giovane che ha alle spalle molte decine di anni di scrittura. In Zoo che indaga il tema della bellezza insieme al rapporto dell’uomo con la propria parte animale, c’è tutto Sergio, i suoi 'leit motif' testuali più forti, la tecnica dell’autofinzione, la capacità di osare e comporre tutto in un equilibrio cartesiano, in cui niente risulta casuale.
Lei è da sempre molto attento alla formazione del pubblico.
Il pubblico è più avanti di quello che pensiamo, occorre essere in grado di costruire un linguaggio teatrale che attiri i giovani, il teatro deve essere un linguaggio fondamentale nella loro vita, i giovanissimi sono affamati della comunicazione in presenza. Bisogna saper parlare un linguaggio interessante e profondo, a chi cognitivamente appartiene a una “razza” nuova, i ragazzi sono molto più elastici e interconnessi. Il teatro deve dare prova di non essere un luogo dove visitare un passato museale, che va conosciuto, ma occorre mettere in scena interazioni utili per metabolizzare quello che sta succedendo.
Come la guerra? Lei da tempo è testimonial per Unhcr.
Unhcr ha lanciato immediatamente una raccolta fondi per sostenere i rifugiati. Ho messo a disposizione il mio account Instagram dove si linka direttamemte alla donazione: queste risorse finiscono direttamente a disposizione dei rifugiati per garantire una autonomia nel budget familiare. L’ho visto accadere in Libano e in Etiopia. Come dice Filippo Grandi, alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in Europa abbiamo la memoria corta, e il rifugiato da fratello da accogliere presto diventa un disturbo da togliersi dai piedi. Ha ragione anche Papa Francesco a metterci in guardia da questo rischio.
Da neopapà si sarà ancora più immedesimato.... Da quando 5 mesi fa è nato Pietro questa mia sensibilità già presente si realizza nella concretezza. So penso a quanti genitori con bambini piccoli non sanno cosa fare o hanno perso la vita per una guerra assurda nella sua sproporzione...
La festa del 25 aprile dovrebbe ricordarci molte cose. Calamandrei diceva che se uno vuol capire dove è nata la Costituzione deve andare sui monti dove hanno combattuto i partigiani. Non dobbiamo mai dimenticare il valore della democrazia. Per questo ci tengo in modo particolare al mio progetto teatrale Europeana - Breve storia del XX secolo di Patrik Ourednik che sarà in tour la prossima stagione: in 60 pagine si ricapitola in cifre e storiografia con un tocco caustico la storia del 900.
Intato lei anche nelle serie tv porta in scena temi importanti
Noi è uno dei lavori più maturi che ho fatto per la tv e sarei contento se venisse girata la seconda serie. Un’operazione importante anche per la tv pubblica che ha presentato una modalità narrativa nuova e coraggiosa. Anche per i temi portati in prima serata, l’integrazione razziale, l’adozione, le depressioni, le dipendenze, il bullismo.
Al centro di tutto, c’è però la famiglia.
Che non è una famiglia disfunzionale. Il padre che interpreto, al netto dei difetti, è un padre che c’è. Sono due genitori molto belli, che mettono amore in una famiglia che nonostante tutto è piena di problemi, come in fondo lo sono tutte le famiglie.
Lei ha anche molte altre fiction in arrivo.
A maggio comincerò a girare Ricciardi per mandarlo in onda nell’inverno e poi arriverà La porta rossa 3. Mentre il grande progetto europeo Sopravvissuti è stato rimandato alla prossima stagione tv. È un lavoro di grande impegno, un thriller psicologico. Io sono lo skipper di questa avveniristica barca a vela che, durante una traversata atlantica, fa naufragio e per un anno non si hanno notizie dei membri dell’equipaggio, fino a quando alcuni di loro sono ritrovati. Ma chi torna a casa è pieno di segreti, come pure chi a casa è rimasto.