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Bari. Dall'incendio ai tribunali: non c'è pace al teatro Petruzzelli

Giacomo Gambassi, inviato a Bari venerdì 28 gennaio 2022

Il teatro Petruzzelli di Bari

Già prima che martedì sera si alzasse il sipario su Tristano e Isotta, qualcuno malignava che al teatro Petruzzelli di Bari sarebbe cominciata una «stagione da abusivi». A instillare la punzecchiatura la sentenza della Corte di Appello che lo scorso novembre ha consegnato il teatro ai suoi storici proprietari, la famiglia Messeni Nemagna, ordinando al Comune di restituirlo agli eredi degli armatori Petruzzelli. Risultato? La fondazione lirica, che del teatro porta il nome e che è stata voluta dallo Stato per gestire il politeama, occupa senza titolo l’edificio a due passi dal mare. «Ma la musica non è mai abusiva in un teatro», sorride il sovrintendente Massimo Biscardi. Da due mesi si tenta una complessa mediazione con la famiglia pugliese. Un “tira e molla” che coinvolge l’amministrazione comunale, la Regione, il ministero dei Beni culturali e che per adesso non ha portato ad alcuna intesa, fra «richieste al rialzo» e incontri disertati. I Messeni Nemagna chiedono di ripartire da quell’accordo che assicurava loro un canone d’affitto annuale. Gli interlocutori pubblici si fanno forti della seconda decisione dei giudici che accompagna il verdetto di riconsegna: i proprietari privati devono pagare allo Stato 43 milioni di euro per la ricostruzione del Petruzzelli dopo l’incendio del 26 ottobre 1991. «Riguardo alle vicende giudiziarie in corso – spiega ad Avvenire il sindaco Antonio Decaro, che della fondazione lirica è presidente – posso solo dire che siamo tutti a lavoro per valutare le soluzioni possibili e per risolvere definitivamente il problema garantendo alla città la fruibilità del teatro». Poi rassicura: «Sono certo che anche quest’anno la stagione non deluderà gli appassionati. È giusto che quanto accade al di fuori del palcoscenico non influisca negativamente sul cartellone».

L'intero del teatro Petruzzelli di Bari - Ansa

In realtà il terremoto legale è arrivato fin dietro le quinte. C’è già chi ipotizza un fondo rischi per l’utilizzo dello stabile. «Dal mio punto di vista – ribatte Biscardi – valgono le frasi che il nostro presidente ha pronunciato durante un consiglio d’indirizzo dedicato al tema. Nella riunione ha ribadito che la fondazione a Bari c’è e ci sarà. A me queste parole bastano. La strada che sta seguendo consentirà al nostro ente di continuare a vivere». Certo, quando la magistratura ha reso noto il responso, «sono rimasto turbato», confida il sovrintendente. E racconta di aver chiamato «i miei collaboratori dicendo che il giorno successivo avremmo potuto tenere chiuso il botteghino: in una situazione del genere chi mai avrebbe acquistato i biglietti...». Invece la sorpresa. «Alle 8 del mattino mi hanno riferito di una coda straordinaria. Allora ho capito che Bari tiene davvero al teatro».


Un teatro dove ancora si percepisce il trauma del rogo di trent’anni fa. Perché anche la battaglia in tribunale è figlia di quell’oscuro disastro in cui si intrecciano carenze strutturali, impianti non a norma, tracce di benzina e gesti “dal nulla”. Solo il collasso della cupola, che ha soffocato le fiamme, ne ha impedito la distruzione. Poi ecco la storia senza fine per la rinascita: il patto fra pubblico e privato su lavori e affitto; l’esproprio del 2006 che la Corte costituzionale cancella; il cantiere con l’ombra dei fondi neri; la delibera municipale che nel 2010 stabilisce la proprietà comunale del teatro; il rischio crac della fondazione per le cause di lavoro; la guerra degli ex proprietari a suon di carte bollate. Ma l’incendio non ha mandanti, almeno secondo i giudici che hanno assolto i tre accusati. Non si potrà mai dire se sia stata la malavita barese a ferire la città o a voler punire il gestore del Petruzzelli che, per la Procura, avrebbe chiesto un prestito usuraio a un clan locale senza restituirlo e voluto truffare l’assicurazione. C’è solo il nome di chi ha appiccato il fuoco. «Oggi abbiamo un teatro rinnovato grazie alle risorse dello Stato, che forse è più bello di prima – dice Biscardi –. E se non ci fosse stato tutto ciò, Bari non avrebbe un ente lirico nazionale, il quattordicesimo in Italia, e probabilmente continuerebbe ad assistere a una stagione musicale, magari interessante, ma limitata a qualche mese, come accadeva in passato».

L'incendio del teatro Petruzzelli di Bari nell'ottobre 1991 - Ansa

Il cartellone 2022 è quasi una sfida alla sorte e al terremoto giudiziario: nove le opere fino a dicembre (di cui due mai rappresentate in città, Roméo et Juliette di Gounod e La dama di picche di Cajkovskij), due i balletti, ventisette i concerti (che vedranno sul podio anche Riccardo Muti e Valery Gergiev). Ad inaugurare la stagione il capolavoro di Wagner che mancava da settant’anni. «La pandemia lo aveva congelato nel 2020. Però ce l’abbiamo fatta a riproporlo – riferisce il sovrintendente –. Ed è un segno di speranza anche in mezzo alle difficoltà attuali». Come appunto il Covid. «Tristano e Isotta – racconta il regista Yannis Kokkos – ha al centro il “Liebestod”, l’amore e la morte. Temi che emergono con forza nell’emergenza sanitaria: la morte che ha toccato molte nostre famiglie o persone care; l’amore che si è rafforzato o infranto con il distanziamento obbligato. Ecco, si tratta di questioni che l’arte affronta. E una perla come quella scritta dal genio di Lipsia diventa una medicina per l’anima». A guidare l’orchestra è la bacchetta d’origine francese Marc Piollet, al suo esordio in Italia, che parla dell’imponente partitura come di «un viatico davanti alla complessità del tempo presente» e la definisce «un’opera immensa che non lascia indifferenti».

Gli applausi finali per “Tristano e Isotta” che ha aperto la stagione al Petruzzelli di Bari - Clarissa Lapolla

Gli spettatori hanno risposto. «La pandemia non ha frenato il ritorno del pubblico – chiarisce Biscardi –. È vero che nei teatri le misure di sicurezza sono elevate. Tuttavia era azzardato immaginare la corsa per Don Giovanni a settembre o il “tutto esaurito” per Tosca a dicembre». Del resto da quando il Petruzzelli è tornato a nuova vita nel 2009, risorgendo dopo quasi vent’anni dalle macerie dell’incendio dei misteri, ha «ricostruito un rapporto singolare con il territorio», sostiene il sovrintendente. Dal 2015 al 2019 gli incassi della biglietteria sono raddoppiati. E le proposte artistiche lievitate: non solo titoli lirici o sinfonici, ma anche concerti per famiglie o produzioni per bambini. E da quest’anno le “Lezioni di musica” nel foyer. Appena annunciati anche i due nuovi direttori principali: uno per la lirica, l’abruzzese Giacomo Sagripanti, vincitore degli Opera Awards 2016; l’altro per la sinfonica, il tedesco Hansjörg Albrecht. «Compito di un teatro è anche quello di essere scuola di sapere, di contribuire ad allargare le conoscenze – conclude Biscardi –. È ciò che la comunità ci chiede ed è quanto intendiamo fare».


Sulle note di Wagner il pubblico sfida il Covid


Lungo le sponde dell’Adriatico Isotta non muore, né si china sul corpo senza vita dell’amato Tristano. Resta come pietrificata nella sua lunga veste bianca su una banchina di cemento dietro a cui il mare s’increspa. Ma, quando sfumano le ultime note del capolavoro di Wagner e la tela cala, nessuno fra gli spettatori protesta per il finale modificato. Anzi, si sfiorano i dieci minuti di applausi alla prima di Tristano e Isotta (Tristan und Isolde) che apre la stagione al teatro Petruzzelli di Bari. Posti non esauriti ma pubblico di gran lunga numeroso: una rarità in questo periodo di pandemia nei teatri lirici italiani. E spettatori di singolare compostezza nelle oltre quattro ore di spettacolo. Tanto che viene da domandarsi: ma siamo a Bayreuth o in Puglia?

Il secondo atto di “Tristano e Isotta” che ha aperto la stagione al Petruzzelli di Bari - Clarissa Lapolla

È un Tristano da promuovere quello in scena fino al 30 gennaio. Dopo un primo atto di rodaggio e non brillante, l’opera prende quota. A cominciare da ciò che esce dalla buca. Si percepisce che il direttore Marc Piollet, francese d’origine ma assiduo frequentatore dei podi tedeschi, ha familiarità con Wagner e con le sue partiture. Nonostante qualche passaggio troppo lento, propone un’interpretazione accurata e meditata. Prende per mano l’orchestra che ha ben plasmato («Bravi tutti», scrive in un biglietto recapitato ai musicisti) nonostante i continui turnover per il Covid nelle diverse sezioni della compagine.

Il primo atto di “Tristano e Isotta” che ha aperto la stagione al Petruzzelli di Bari - Clarissa Lapolla

Anche il cast convince. Spicca la sorprendente Brangäne della bavarese Stefanie Iranyi, solida, precisa, calata fin nel profondo nel personaggio. E si rivela giusta anche la scelta di cambiare all’ultimo minuto il soprano che interpreta Isotta: non Gun-Brit Barkmin ma la “sostituta” Alexandra Lubchansky, originaria di San Pietroburgo, che avrebbe dovuto debuttare nelle repliche. Non ha una massa vocale imponente ma intercetta le sensibilità di chi l’ascolta. Intenso il re Marke di Rafal Siwek; vigoroso il Melot di Simon Schnorr; altalenante il Kurwenal di Oliver Zwarg. Non supera invece la prova Lars Cleveman nei panni di Tristano: a più riprese in difficoltà, fa scivolare Lubchansky nel duetto d’amore che marca il secondo atto, anche se poi risorge nel terzo durante il suo “monologo-delirio” in preda alle allucinazioni.

Il secondo atto di “Tristano e Isotta” che ha aperto la stagione al Petruzzelli di Bari - Clarissa Lapolla

La regia di Yannis Kokkos è incentrata su tre scene senza tempo, dominate dall’oscurità che richiama la passione: una nave che sa di portaerei; una foresta che cambia colore; un porto grigio. Più che altro sono quadri dove domina la staticità. E il solo accorgimento che scuote una stasi forse eccessiva – anche nella recitazione – è una sorta di cubo bianco che nel secondo atto squarcia la notte degli amanti durante la quale i due si sono appena rammaricati della «malvagia lontananza». Come quella a cui la pandemia costringe.