Il dolore ripudiato, il dolore rimosso. Ripudiato dalla società contemporanea, ripudiato da ognuno di noi, nelle azioni quotidiane, anche in maniera inconscia, in quanto uomini della contemporaneità.
Eppure non c’è religione al mondo come quella cristiana che abbia fatto dell’accettazione del dolore il punto di partenza per ogni percorso di redenzione. Non è un caso che spesso nei rapporti interreligiosi il senso stesso del dolore e della sua accettazione separi nettamente i veri cristiani da chi cristiano non è. Un sentiero su un crinale, non sempre facile da percorrere, e sul quale ieri si sono incamminati i partecipanti al dibattito su «Gesù e il dolore degli uomini», che ha coinvolto monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, il teologo e psicoterapeuta tedesco Manfred Lütz e il giornalista Tony Capuozzo, moderati dal giurista esperto di bioetica Francesco D’Agostino.
Non c’è religione al mondo che preveda una simile intimità del dolore, dicevamo, perché quella cristiana è la fede nel Dio incarnato. Un tema affrontato con la forza delle cose 'vissute sul campo', anche se con accezioni diverse, sia da monsignor Fisichella che da Capuozzo. Vissute sul campo come le storie di guerra del giornalista, nel corso delle quali, ha raccontato, «mi sono trovato a ragionare di fede con amici e collaboratori islamici. Di loro ho a volte invidiato la docilità con la quale affrontavano le terribili incertezze della guerra affidandosi totalmente nell’espressione tipica dell’Islam: se Dio vuole».
Un’ammirazione che cozzava con un certo modo di rapportarsi agli altri uomini e al loro dolore, soprattutto se infedeli. «Ho provato a spiegare che nel mondo in cui sono cresciuto Cristo ha il volto dell’uomo. Per questo in ogni uomo e nella sua sofferenza riverbera l’idea di Dio. Se faccio del male a un uomo è come se facessi del male a Dio stesso.E non era facile far comprendere che per il cristiano è martire solo colui che offre la propria sofferenza e dona la propria vita per la salvezza degli altri». Sul campo, dicevamo, come l’esperienza che monsignor Fisichella ha tratto direttamente dai Vangeli, in particolare dal passo del primo capitolo di Marco in cui Gesù, nella sinagoga, viene interpellato dall’indemoniato col suo stesso nome: «Cosa c’entri tui con noi Gesù Nazareno, sei venuto a rovinarci?
Io so chi sei tu: il Santo di Dio?». Questo perché «il demonio, signore di questo mondo, rifiuta l’incarnazione di Dio. Dio non deve e non può mischiarsi con gli uomini, perché l’uomo è limitato, sofferente, mortale». La società che rifiuta Cristo rifiuta la sofferenza e se rifiuta la sofferenza rifiuta Cristo. E questo può avvenire in modi diversi, anche in quel «salutismo» che secondo Lütz si è «evoluto in una religione della salute (è vero uomo solo chi è in salute, chi non può guarire è uomo di terza classe), che pone il singolo individuo al centro del mondo, disinteressandolo da tutto il resto». Quel resto che è l’attenzione verso la sofferenza dell’altro, proprio il motivo per cui Gesù si è incarnato, scatenando l’ira del demonio.