COSTUME. Il libraio intellettuale razza in estinzione?
«È sconfortante pensare che in Italia solo il 15 per cento degli adulti entrino in libreria» nota Roberto Denti in una delle interviste "ai mestieri del libro" raccolte dagli allievi del master in editoria dell’università di Pavia nel volume Artigiani di cultura. Per un titolo tanto azzeccato non poteva esserci presentazione migliore che una testimonianza, domani al Collegio Santa Caterina, del libraio e scrittore che sa Come far leggere i bambini, per citare un suo celebre libro di trent’anni fa, attuale ancora oggi in cui l’ottantasettenne Denti festeggia l’anniversario di una scommessa vinta. Infatti la sua libreria per ragazzi fondata nel ’72 con la moglie Gianna Vitali, compie quarant’anni dimostrando che c’è ancora spazio per una professione sempre più schiacciata tra internet bookshop e libri digitali senza carta. Visto che a partire da quest’anno, l’ha annunciato su queste colonne Giuliano Vigini dal suo osservatorio statistico, la maggioranza del fatturato editoriale deriverà dalle librerie di catena, va segnalato che qui spesso i più economici stagisti usano bene il computer ma conoscono poco gli scaffali, non sapendo consigliare il lettore. Eppure rischiano di sopraffare i piccoli librai di cultura sempre meno indipendenti e sempre più in crisi. C’è da chiedersi se la professione del libraio intellettuale, quasi una missione, sia una razza in estinzione e con quali conseguenze. C’è da chiedersi se valga ancora l’immagine di Stefano Benni secondo cui «lo scrittore è l’arco, il libro è la freccia, il cliente è la mela e allora il libraio è quello che tiene in testa la mela»? Certo un esempio come Denti aiuta a credere in un lavoro dove non contano solo tabelle, rese, assoluti speciali o sell out, business plan o franchising. E mentre è annunciato dall’editrice Bibliografica la nuova edizione di un manuale per Aprire una libreria nonostante l’e-book, scritto da Giovanni Peresson dell’Aie e Alberto Galla, erede di una delle librerie storiche di Vicenza, resta valida l’idea di «rendere i libri materia viva» di un altro mitico esponente della categoria, il feltrinelliano (ora Coop) Romano Montroni: Vendere l’anima s’intitola un suo libro di Laterza dove avverte che bisogna saper «commercializzare i valori», appunto il bene immateriale della parola che sta dentro la materialità dei libri. Per librai così l’aspetto intellettuale conta molto perché «il libro è ancora il mezzo migliore per far circolare le idee e la libreria il luogo del venderle». Il segreto sarebbe puntare non solo sulla merceologia ma soprattutto sul far «fare un’esperienza» al cliente-lettore, con selezioni tematiche, servizi personalizzati, divani per la lettura, bar e vineria… Non è facile, ma Montroni cita Chaplin: «Più che di macchine, l’uomo ha bisogno di umanità», anche in libreria. Roberto Denti, libraio da «ventimila libri sotto il naso», a suo tempo ha scelto per primo di esporre i volumi di copertina e non di costa, perché il mestiere non può che nascere dalla preparazione culturale e dall’amore per i libri. Da questa passione, coltivata da giovane nella sua Cremona e anche in carcere durante la guerra e la Resistenza, è nato l’amore per Gianna, incontrata durante un viaggio in Mongolia parlando a tavola di Cent’anni di solitudine, e da lì, al rientro, è venuto il progetto della prima libreria italiana in un settore di testi per bambini che sembrava si vendessero solo a Natale e per le Comunioni. Ma Denti ha anche conosciuto Gianni Rodari, quand’erano entrambi giovani giornalisti, e dall’autore della Grammatica della fantasia ha imparato che per i piccoli «il verbo leggere non prevede mai l’imperativo». Ora la sua libreria milanese è stata rilevata dal Castoro ma resta indipendente rispetto alle grandi catene di supermercati librari in un periodo in cui su un blog si plaude ad autori che diventano librai e viceversa (come Giuseppe Culicchia) e su un altro si stigmatizzano «scrittori che su Facebook fanno pubblicità agli sconti di Amazon». È comunque crisi per le librerie della penisola, per esempio con la situazione tragica di Firenze tra ex-Marzocco chiusa ed Edison sfrattata, senza dimenticare una libreria storica come Croce a Roma: quando rischia la chiusura c’è chi scrive, sul Corriere, che non è grave la chiusura di una libreria di tradizione, «al massimo può servire come attrazione turistica, un po’ come i giri in carrozzella o i ragazzotti trasvestiti da gladiatori…». E in Sardegna l’Sos è lanciato da Michela Murgia sul suo blog, nella convinzione che le librerie indipendenti sono una «risorsa pubblica» la cui scomparsa è «gravissimo danno alla comunità». Eppure librai indipendenti e intellettuali resistono: dal pugliese Rocco Pinto a Torino, che con un collega ha scritto un libro sulla commedia degli equivoci in questo settore, alla tradizione antiquaria della napoletana Colonnese che accoglie i lettori con la citazione di Mallarmè secondo cui «tutto al mondo esiste per entrare in un libro» e che per questo si fa anche editore in proprio, come altri da Milano a Palermo ma sempre con minori spazi di manovra.
La caccia al best seller, il turn over rapidissimo delle novità, gli sconti non sempre equi e il fascino dei contenuti sempre più liquidi (per Denti «non una minaccia al libro se lo si continua a usare») favoriscono i megastore commerciali più tecnologicamente evoluti e soprattutto gli enormi bookshop on line che offrono tutto in modo apparentemente democratico, ma senza selezione e senza un giudizio di valore. È proprio questo il criterio intellettuale di cui non possiamo fare a meno, grazie a chi fa da filtro e valorizza la cultura, facendo crescere i lettori e creando così un benessere sociale contro quell’omologazione da iperstore che vanifica la ricerca di identità costruita dagli editori nel corso del Novecento, come scrive Benedetta Centovalli presentando il libro di interviste.
Allora serve ancora quel plusvalore intellettuale di chi sta al bancone di una piccola libreria vecchio stile? L’augurio è che la categoria non sia in estinzione. Occorre capire i processi che mutano un mestiere tanto utile, rendersi conto che il problema delle librerie, come dell’intera filiera editoriale, è innanzi tutto sociale oltre che economico e culturale. Certo di librai come Denti, che sono intellettuali che vendono, formano i lettori ma sanno anche scrivere libri (per restare nell’ambito dei ragazzi, pensiamo alla torinese Anna Parola o alle bolognesi della Giannino Stoppani), la cultura di questo Paese ha sempre più bisogno. Allo stesso modo ha bisogno di riforme che non congelino indifferentemente solo il prezzo del libro ma diano sostegno, non solo a parole, alla promozione della lettura nelle scuole e nelle biblioteche, dove spesso si respira aria di stantìo.