Roma. Sei lettere inedite di Andreotti ai familiari
«Ho avuto una vita incredibilmente felice». Così Giulio Andreotti definisce la sua esistenza terrena, in una delle sei lettere che scrisse in momenti particolari della sua vita a partire da 1978. Sono lettere indirizzate ai familiari che dovevano essere aperte solo in caso fosse morto improvvisamente, per cause naturali o per un attentato. La sua prima lettera è datata 10 aprile 1978, ventiseiesimo giorno del sequestro di Aldo Moro, un momento drammatico per Andreotti: «Non avevo mai pensato di scrivere qualcosa per il mio post mortem, ma gli avvenimenti di queste ultime settimane, dando fragilità alla nostra sicurezza, mi inducono a farlo». Le sei lettere da aprire post mortem, che contengono anche alcune disposizioni per il dopo – «Poche, perché ho comandato fin troppo da vivo», scrive Andreotti con la sua nota ironia in quella più recente, datata giugno 2005 – sono state ritrovate e aperte dai figli dopo la sua scomparsa, avvenuta il 6 maggio 2013, all’età di 94 anni. Ma, in quel giorno di lutto i figli non le hanno fatte leggere a nessuno, per non rischiare di alimentare polemiche strumentali: la notizia della scomparsa del politico italiano più longevo e famoso della storia dell’Italia repubblicana stava facendo il giro del mondo, e, agli attestati di stima e affetto che arrivavano anche da tanti Paesi stranieri, si accompagnavano giudizi critici e ricostruzioni storiche faziose sugli oltre sessant’anni di vita politica dello statista democristiano.Ora, dopo un anno, in linea con lo stile riservato della famiglia Andreotti, è stata inviata copia delle lettere a pochi parenti e amici. La prima lettera, come detto, è del 1978; le altre cinque sono state scritte tra il 1994 e il 2005, nel periodo in cui Andreotti svolge con assiduità il suo lavoro di senatore a vita, affronta i due processi che lo vedono imputato a Perugia e a Palermo, pubblica libri e dirige il mensile internazionale “30Giorni”. E proprio ai giornalisti della rivista («Con i quali – scrive – ho vissuto anni di esaltante collaborazione in uno spirito unitario») è dedicato l’ultimo dei saluti. È un Andreotti per certi versi sorprendente (anche se solo per chi non lo conosceva bene) quello che ne emerge: solare e lontano mille miglia dallo stereotipo dell’uomo di potere cinico e indecifrabile che gli è stato cucito addosso in tanti anni; lontano da quel senso di angoscia e cupezza che pervade il film Il Divo di Sorrentino. Le lettere sono indirizzate alla moglie Livia, ai figli e ai nipoti, che per Andreotti sono i principali elementi della sua vita «incredibilmente felice», accompagnata da una profonda fede cattolica. Afferma, infatti, nella lettera del 24 settembre 1999, scritta mentre attende con fiducia la sentenza di primo grado di Perugia: «Li affido alla Madonna e ai miei tre punti fermi di spiritualità: santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, padre Pio e il beato Escrivà». Anche se indirizzate ai familiari le lettere sembrano sempre rivolte a tutti, una sorta di testamento spirituale nel quale emerge l’umanità dello statista, ciò in cui credeva e i suoi riferimenti ideali. Pensieri accompagnati sempre da tanto realismo. Scrive, infatti, nella stessa lettera del 1999: «Nell’azione politica qualche sgambetto l’ho fatto e non ho frenato la mia ambizione. Se a qualcuno ho arrecato ingiuste amarezze chiedo indulgenza». E, anni prima, nella lettera del 1978, così aveva sintetizzato la sua vita politica: «Riconosco innanzi tutto di aver avuto un ruolo superiore ai miei mezzi intellettuali, che mi sono sforzato di svolgere nel modo migliore, supplendo con l’impegno alle carenze di base. Nella vita politica mi sono sempre ispirato alla difesa dei più deboli, nutrendo una personale allergia per ogni forma demagogica. Spero di non lasciare dietro di me rancori od equivoci». Tante le persone ricordate con gratitudine nelle lettere, tanti personaggi famosi, ma anche persone qualunque: «Sono grato a quanti mi hanno aiutato: da De Gasperi a Gonella ai Somaschi di S. Maria in Aquiro e a uno splendido sacerdote segnino, don Giuseppe Del Giudice. Se qualcuno vorrà far qualcosa a mio ricordo aiuti il Parroco di S. Giovanni dei Fiorentini, don Luigi Veturi, per la costruzione della cappella dell’Amore Misericordioso. Un pensiero devoto a Giovanni Paolo II che mi ha voluto bene e mi ha tanto aiutato».