Agorà

INTERVISTA. L’etica che indossa la casacca dell’altro

Rossana Sisti sabato 26 marzo 2011
Basta poco per fare di un uomo uno straniero, vulnerabile e indifeso. Di giorno puoi essere un rispettabile ragazzo di buona famiglia guardato con rispetto e cordialità, la sera se solo ti cambi d’abito e ti metti a vendere rose per strada come un povero cristo che cerca di guadagnarsi il pane, diventi l’infido straniero che dà fastidio, il miserabile straccione  da tenere alla larga, l’immigrato delinquente odioso anche alla vista. Si chiama Luca il ragazzo dal doppio volto: liceale come tanti in una grande città, vive una seconda vita, la notte, fingendosi straniero per espiare la colpa di un male cui non ha saputo opporsi. Tutto succede una sera piena di noia, qualche birra di troppo e la voglia di un gruppo di balordi di finirla in bellezza, con un’emozione forte. E allora un uomo addormentato sulla panchina dei giardini diventa l’occasione per movimentare la serata, lo straniero disgraziato da cospargere di benzina e incendiare. Luca non è un teppista ma sebbene inorridito ha assistito alla scena senza muovere un dito. Divorato dai rimorsi il ragazzo rintraccia il venditore di rose rimasto gravemente ustionato ma scampato alla morte e per aiutarlo decide di sostituirlo nel suo lavoro notturno di clandestino. Sembra un frammento della cronaca più nera dei nostri giorni l’incipit di Io come te, il nuovo romanzo di Paola Capriolo - autrice che da qualche anno sta sperimentando anche una scrittura rivolta ai ragazzi. Io come te è una delle proposte che le Edizioni EL presentano da lunedì alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, un libro che esce nella collana Young, rivolta agli adolescenti ma che ha lo spessore di una storia per tutti. «Una vicenda che ancor prima di affrontare il problema sociale degli immigrati – spiega l’autrice – propone una riflessione etica. Il tema del bene e del male e della responsabilità troppo spesso latitante collegati con i tanti aspetti della vita condivisa con quegli altri, deboli e fragili che sono i tanti stranieri abitanti le nostre città. La storia di Luca è quella di un quindicenne immaturo che spinto dai sensi di colpa per la propria indifferenza cerca e imbocca pian piano la strada di un cambiamento, appropriandosi di un nuovo senso di responsabilità nei confronti della vita altrui. Quel sentimento che dovrebbe impedire a ciascuno di sentirsi estraneo o indifferente a qualsiasi essere umano, un bagaglio di cui gli adulti sono purtroppo carenti». La vita di Rajiva, il venditore di rose, indossata da Luca riserva più di una sorpresa, l’esperienza bruciante dell’esclusione, del disprezzo, dell’umiliazione e della paura. Quel calvario di ostilità che scandisce spesso l’esistenza degli immigrati. «Mi piaceva la metafora del mettersi nei panni altrui – spiega Paola Capriolo –, di vincere con l’arma della solidarietà autentica l’individualismo e l’egoismo, persino quel buon senso che impone di non farsi toccare dai problemi degli altri. Sentimenti prevalenti di una quotidianità che ha rimosso il ricordo di quando gli emigranti eravamo noi. Del resto penso che la democrazia esiga molto più della semplice tolleranza che mi pare poco più di una strategia per contenersi. Come se alla convivenza umana bastasse un regolamento condominiale…». Eppure è solo se si riesce a calarsi nei panni altrui, a mettersi dal punto di vista dell’altro, che si comprendono anche le altrui ragioni. «Volevo indagare il processo di crescita di un giovane – continua la scrittrice – e capire cosa succede nella coscienza di una persona, nella sua anima, quando si comincia scoprire nel prossimo una persona uguale a se stesso, quindi il senso di appartenenza a una stessa umanità». Cos’è quella compassione che sentiamo per il prossimo quando si inizia a vedere il mondo con gli occhi di un altro, come recita il sottotitolo del libro. Perché questo è quel che accade in modo speculare ai due protagonisti. A Luca, che strada facendo si conquista una faticosa maturità e una consapevolezza di sé, ma anche a Rajiva che sperimenta il valore di un legame fraterno. «C’è molta immoralità, conclude Paola Capriolo – nell’assolutizzazione dell’individuo, nel non sentirsi parte della stessa umanità, della stessa carne. Nel mettere confini e alzare barriere tra sé e gli altri». Due mani aperte campeggiano sulla copertina del libro. Non si stringono nel consueto segno di amicizia. Sono opposte, speculari, una sinistra e una destra sembrano condurre a un solo corpo, appartenere a una stessa persona, fatte della stessa carne. Non importa se sono una bianca e una nera.