Storia. Liliana Segre: «L’eroismo umile di mamma Giuseppina Panzica»
Liliana Segre
Proponiamo la prefazione di Liliana Segre al libro di Gerardo Severino e Vincenzo Grienti Sopravvissuta a Ravensbrück. Giuseppina Panzica, la mamma che salvò gli ebrei, in uscita per Il Pozzo di Giacobbe (pagine 192, euro 16,00) e che narra la vicenda di Giuseppina Panzica, una donna siciliana di Caltanissetta, madre di quattro figli e moglie del finanziere Salvatore Luca. Una coppia di emigranti che una volta arrivati a Como aderiscono al “Gruppo Fra.Ma”, collaborando con il finanziere Gavino Tolis e con il maresciallo Paolo Boetti nel nascondere e salvare centinaia di profughi ebrei e perseguitati politici, aiutandoli a fuggire nella vicina Svizzera. Arrestata, Giuseppe Panzica venne trasferita prima nel carcere comasco di San Donnino, poi a San Vittore a Milano, infine deportata prima nel lager di Bolzano e poi nel campo di sterminio di Ravensbrück. Qui subì violenze e torture, ma la speranza di poter rivedere i propri figli e la fede in Dio l’aiutarono a superare la prova e a ritornare a Ponte Chiasso nell’ottobre del 1945.
Dobbiamo essere grati al colonnello Gerardo Severino, direttore del Museo storico della Guardia di Finanza, già autore di altri preziosi studi in materia, per questa sua ultima ricerca storica, insieme al giornalista Vincenzo Grienti, su una vicenda di generosità ed eroismo a favore dei perseguitati durante l’occupazione nazista del Nord Italia nel 1943-1945 che altrimenti sarebbe caduta nel più completo oblio. Quella di Giuseppina Panzica (1905-1976), all’epoca giovane madre neanche quarantenne che abitava a Ponte Chiasso sul confine della Svizzera. Incurante del pericolo, non solo per sé ma anche per i quattro figli, di cui due giovanissimi, insieme al marito Salvatore Luca non esitò ad aiutare coloro che perseguitati e in fuga, ebrei e non, venivano loro presentati da organizzazioni antifasciste di assistenza, perché fossero fatti espatriare clandestinamente al di là della rete. Per non parlare dei “servizi” di trasmissione di pacchi e corrispondenza. Proprio durante uno di questi avvenne il suo arresto in flagranza. Una persona semplice, la Giuseppina, di cui poco si saprebbe se non fosse per la testimonianza resa dopo la sua morte dalla figlia Rosaria. Anche lei come il marito, ex finanziere in gioventù, provenienti dalla Sicilia, da Caltanissetta, emigrati in cerca di una vita migliore, ma sempre modesta, in quel di Como, una calzoleria, un negozio, qualche servizio. Aiutati in questa loro attività, o forse vice versa di aiuto a loro in questa attività, un finanziere di stanza sulla linea confinaria, il 25enne sardo Gavino Tolis, che operava sistematicamente in tal senso in contatto con la Resistenza, così come altri militi e anche degli ufficiali della Guardia di Finanza. Non a caso per questo atteggiamento guardati con sospetto dai fascisti della Milizia confinaria e della Guardia nazionale repubblicana di Salò, su cui i tedeschi facevano maggior affidamento per chiudere il confine nel modo più ermetico possibile. Gavino Tolis e Giuseppina Panzica non scamparono all’ira tedesca una volta scoperti, traditi probabilmente da altri italiani, forse da qualche vicino per piccole gelosie o ripicche. Deportati separatamente in Germania nell’aprile 1944, Gavino Tolis perì nel lager di Gusen – Mauthausen nel dicembre di quello stesso anno. Quanto a Giuseppina, dopo essere stata detenuta nel V raggio del carcere di San Vittore (a me tristemente ben noto) dall’aprile al settembre 1944, ivi costretta a fare le pulizie, lei visse la durissima esperienza del lager femminile di Ravensbrück, destinazione di decine di migliaia di donne deportate da tutta Europa, in prevalenza per motivi politici, coatte in condizioni disumane, da cui solo una minoranza si salvò. Duro destino il suo, anche se a lei arrise la sorte di poter ritornare in patria nell’estate del 1945 e di riabbracciare tutta la famiglia che disperava ormai di rivederla mai più. Una famiglia dove, vicenda singolare, come tante in quei mesi di patimenti, doppi giochi, tragedie e rari fortunosi salvataggi, il padre e i due figli maggiori, per sfuggire al possibile arresto (anche Salvatore era sospettato come complice) come anche alla fame, avevano accettato di andare in Germania come lavoratori “volontari”, con la fortuna di ritornare anche loro a casa, poco prima di Giuseppina. Mentre i loro due bambini erano stati raccolti in un collegio di suore. Una salvezza, quella di Giuseppina, dovuta ad un caso fortunato, come è capitato a varie, poche, di noi sventurate in balia dei nostri aguzzini. L’incontro nel momento cruciale con un’altra detenuta, una kapò slovena che l’aveva presa in simpatia e che la protesse negli ultimi momenti convulsi del campo tra decimazioni naziste e arrivo dei liberatori russi, come il libro racconta sulla scorta della testimonianza della figlia. Giuseppina Panzica è un esempio di quelle italiane e italiani, il più delle volte persone semplici che ascoltarono il richiamo della coscienza; in particolare, quanto a lei molto religiosa, il comandamento cristiano della carità senza secondi fini. Le pesanti conseguenze, facilmente intuibili, non li distolsero dall’assolvimento di quello che sentivano essere un dovere morale. Essi non furono indifferenti. Fossero stati di più i nostri concittadini così in quei frangenti! Giuseppina non ebbe riconoscimento alcuno negli anni del dopoguerra, né si curò di parlare della sua vicenda fuori della cerchia famigliare. È stato solo grazie alle ricerche e all’impegno del tenente colonnello Severino che la sua memoria è stata onorata finalmente con la Medaglia d’oro al Merito Civile per decreto del presidente della Repubblica nel 2018. Sia in benedizione il ricordo di Giuseppina, donna semplice e coraggiosa, così come quello di Gavino Tolis, che sacrificò la giovane vita per aver anteposto il richiamo dell’umana solidarietà all’obbedienza a ordini ingiusti.