Il ricordo. L'eredità di Ezio Bosso? Una musica «libera»
Il direttore e maestro Ezio Bosso è scomparso nel maggio 2020
«Mi chiamo Ezio, nella vita faccio la musica. E sono un uomo fortunato. E questa è l’unica cosa che vorrei dover dire per parlare di me». Così il maestro Ezio Bosso si presentava nel 2017 al pubblico tedesco, sintetizzando in poche parole la missione di una vita. Una vita eccezionale, quella del maestro affetto dal 2011 da una malattia neurodegenerativa, che si è spenta il 14 maggio dell’anno scorso nella sua casa di Bologna a soli 48 anni, in pieno lockdown.
Ma in realtà Bosso è stato una vittima “morale” della pandemia, un freno insopportabile per chi come lui considerava “fare” la musica dal vivo la ragione fondamentale per sopravvivere. Quella musica che aveva spinto un bambino dal talento precoce da un quartiere operaio di Torino al Conservatorio, sino a diventare uno dei musicisti e compositori più richiesti d’Europa. Anni di studio, sacrifici anche economici e passione al servizio della musica che, dopo «l’incidente », come lo chiamava lui, lo aveva fatto riemergere dal buio a riconquistare con tenacia le sue abilità. Ma, soprattutto, a conquistare il cuore del grande pubblico per la sua umanità che rendeva comprensibile ogni singola nota anche a chi piede in un teatro non ce l’aveva mai messo.
Ma dopo un anno, cosa resta di tutto questo? «Cosa resta di tutto alla fine, cosa resta dopo? Cosa rimane di noi e cosa ci è rimasto?» si domandava Ezio Bosso nel 2016, ispirandosi all’amata Emily Dickinson, nel testo del libretto che accompagnava il disco All the things that remain che conteneva l’omonimo trio per violino, violoncello e pianoforte, ma anche Following a bird divenuto il suo brano più conosciuto dopo l’apparizione al Festival di Sanremo dello stesso anno che incollò al video 14 milioni di persone. La grande popolarità televisiva però era sentita da Ezio Bosso con grande sofferenza come un’arma a doppio taglio: aveva avvicinato moltissime persone alla grande musica, ma rischiava di banalizzare il suo vero messaggio musicale. Ed è per questo che, da quando l’amato zio è mancato, il nipote Tommaso sta curando con attenzione la sua eredità musicale, pubblicando l’anno scorso la discografia completa del maestro torinese. Mentre quest’estate il Lucca Classica Music Festival renderà omaggio a Bosso con una serie di concerti che vanno a sostituire quelli previsti con Ezio nell’estate del 2020. Il 17 luglio nella chiesa di San Francesco l’Orchestra dell’Issm “Luigi Boccherini” diretta da Giampaolo Mazzoli, con Anna Tifu al violino, eseguirà gli amatissimi John Cage e Beethoven, mentre il 24 e 25 luglio, sempre nella stessa chiesa, verrà proposto un viaggio nella musica per quartetto di Ezio Bosso, suonato e raccontato dai musicisti che hanno collaborato con lui.
Ma è anche il pensiero più profondo e reale di Ezio Bosso a dover essere preservato e tramandato. Ci ha pensato, quindi, Alessia Capelletti, intellettuale colta e sensibile che è stata l’ufficio stampa dell’artista dal 2016 sino alla fine, nel corposo libro Faccio musica. Scritti e pensieri sparsi di Ezio Bosso (Piemme, pagine 341, euro 18,50) che raccoglie in ordine cronologico una serie di testi perlopiù inediti, dal 2016 a oggi, fra sbobinati di interviste, conversazioni private, bozze di testi per pubblicazioni discografiche. Il libro verrà presentato oggi 7 giugno all’Oratorio San Filippo Neri di Bologna, l’ultima sala in cui il maestro ha fatto le prove con la sua orchestra per il concerto al Conservatorio di Milano nel gennaio 2020, il suo ultimo live. Questo “Zibaldone” contiene i suoi pensieri più intimi, l’infanzia torinese, il suo percorso artistico nel mondo, la dedizione incondizionata alla musica, gli ultimi tempi difficili della malattia, svelando il pensiero di un grande compositore e direttore d’orchestra, di un grande divulgatore ed intellettuale capace di toccare l’anima delle persone.
«L’idea mi è venuta l’estate scorsa, quando Google alert mi ha segnalato che uno studio dentistico ha usato come slogan una delle frasi di Ezio, “i sorrisi avvicinano più dei passi” – ci racconta con un sospiro Alessia Capelletti –. Lui aveva un talento innato per gli aforismi, che spesso venivano usati a sproposito come slogan. Ho anche scoperto un negozio di arredamento che vende tappezzerie musicali con le frasi di Ezio per le camerette dei bambini. Lui ci rimaneva malissimo. “Io predico, spiego – mi diceva – ma alla fine quello che rimane sono le frasi di Bosho”. Così ho pensato di mettere insieme una cernita dei testi più significativi degli ultimi quattro anni. Noi per ore discutevamo nei minimi meandri le parole, lui era un perfezionista».
L’artista, che ora riposa al Cimitero Monumentale di Torino, non ha mai voluto scrivere un’autobiografia, ma questo lavoro si è reso necessario per rendergli giustizia. «Ezio era sommamente frainteso sia dagli amici, sia dai nemici – aggiunge l’autrice –. I nemici criticavano il suo percorso irrituale. Lui voleva fare il direttore d’orchestra sin da piccolo, ma provenendo da una famiglia modesta doveva trovare un lavoro remunerato e per questo ha iniziato come contrabbassista. Il suo sogno di dirigere il grande repertorio classico è arrivato nel momento in cui era corroso dalla sua malattia, ma non è stato compreso dal mondo accademico. Al tempo stesso è stato anche frainteso dagli ammiratori, spesso morbosamente attratti dal fascino dell’uomo. A chi gli diceva che era un maestro di vita, rispondeva “io sono un maestro di musica”. Lui non voleva essere un simbolo, ma un musicista».
Ora si sta lavorando anche a un docufilm che raccoglierà i lasciti video del maestro, mentre Tommaso Bosso sta per pubblicare le sue partiture in modo che possano eseguite anche da grandi interpreti. Per Bosso «scrivere la musica è un atto d’amore», come pure divulgarla fino allo stremo delle forze, dalle lezioni aperte a tutti a Palazzo Barolo al programma divulgativo di Rai 3 Che storia è la musica. Come si legge nel libro, Bosso ci lascia in eredità una «musica libera»: «E che sia negli asili, nei Conservatori o scuole, negli ospedali o nelle carceri, nelle sale da concerto, in tv o nelle cuffie, bisogna divulgarla, cioè renderla di tutti con ogni mezzo possibile….Perché alla fine di tutto una musica per essere davvero libera entra nella pancia, passa per il cuore e fa muovere la testa. E quando queste tre cose si muovono insieme diventiamo noi stessi davvero liberi».