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VITE DI CINEMA. Leila Hatami: «Io, donna e attrice in Iran»

Emanuela Genovese martedì 23 ottobre 2012
Il cinema iraniano punta sulla donna. Con The Last Step, presentato ieri al MedFilm Festival (in programma a Roma fino al 28 ottobre) Leila Hatami, l’attrice vincitrice dell’Orso d’argento al Festival di Berlino 2011 per Una separazione di Asghar Farhadi, porta in scena il dramma di una donna iraniana. Diretto da Ali Mosaffa, The Last Step è la storia di Leili, una famosa attrice che perde suo marito Koshrow in seguito a un incidente domestico. Rimorsi, rimpianti, paure del passato e del futuro tornano a galla. Con The Last Step Leila Hatami è di nuovo protagonista di un film di forte impatto emotivo, raccontato con delicatezza anche attraverso la voce fuori campo di Koshrow e attraverso lo sguardo di un uomo innamorato di lei. Hatami, che per The Last Step ha vinto il premio per la miglior interpretazione al Carlovy Vary International Film Festival, racconta il suo lavoro e il suo Paese. Il centro narrativo di «The Last Step» è una donna raccontata attraverso lo sguardo degli altri protagonisti maschili.La donna è l’elemento trainante di tutta la storia. Soprattutto il film riesce a sottolineare cosa accade a una donna quando perde il marito e si ritrova sola, Senza figli e con difficoltà ad avere e mantenere il lavoro. Il merito di The Last Step è riuscire a mettere in sintonia lo spettatore con i sentimenti della protagonista.Cosa l’ha colpita del suo personaggio?Quando ho letto la sceneggiatura sono rimasta colpita dalle diverse dimensioni di Leili. Non accentuava un particolare, ma allo stesso tempo risaltava la complessità delle sue sofferenze e delle sue difficoltà. Leili, nelle sue contraddizioni, è l’insieme di tante donne che esistono in Iran e nel mondo.Che cosa significa essere attrice oggi in Iran?È una domanda alla quale non so rispondere. Soprattutto perché ho sempre respirato aria di cinema e da mio padre (il regista Ali Hatami, nda) ho ereditato la passione per il mio lavoro.In che modo l’arte, anche se limitata da regole come avviene nel cinema iraniano, può essere veicolo di libertà e generatore di creatività?Il confine è molto sottile. Da una parte i limiti possono permettere che la creatività trovi nuove strade. Dall’altra, però, possono restringere l’orizzonte del lavoro, non solo dal punto di vista dei contenuti ma anche dal punto di vista dello stile estetico.Quanto l’Oscar al film «Una separazione» ha influito sulle scelte culturali del pubblico iraniano? L’Oscar ha rappresentato un grandissimo successo per il cinema e per il nostro Paese. Non credo però che le scelte culturali siano cambiate in Iran, dove sono distribuiti film d’autore e prodotti per il grande pubblico, che anche lì vuole storie divertenti. Sono convinta, però, che il popolo iraniano ha dimostrato di avere molto gusto per il cinema.Il regista Panahi è da anni agli arresti domiciliari. Come continuare a far sì che non venga dimenticato?Quello che è successo a Panahi ha rattristato tutto il mondo del cinema. Si è fatto molto per cambiare il verdetto, a cominciare dallo stesso Panahi. Purtroppo non era in grado di poterlo cambiare.