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STORICI CONTRO FINI. Leggi razziali: la Chiesa reagì

Andrea Galli mercoledì 17 dicembre 2008
«Le dimensioni della tragedia seguita alla promulgazione delle leggi razziali costituiscono ancora una ferita aperta di fronte alla coscienza di tutti e continuano a porre l'interrogativo se si sia fatto abbastanza per contrastarle, ma non vedo ragione alcuna per muovere accuse alla Chiesa, che anzi condannò apertamente e con assoluta fermezza la legislazione antiebraica». Così Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all'Università Cattolica, commenta le dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, nel 70° anniversario della promulgazione delle leggi razziali, secondo il quale nemmeno la Chiesa le contrastò. «Il segno di dissenso da parte della Chiesa fu molto forte - ricorda Giovagnoli - Pio XI fu volutamente aspro accusando gli italiani di seguire i tedeschi su una strada sbagliata». Memorabile, secondo lo storico, anche «la dura omelia contro le leggi razziali del cardinale Schuster, allora arcivescovo di Milano, su richiesta del Papa stesso». Il gesuita Giovanni Sale, storico della Civiltà Cattolica, ricorda poi la celeberrima enciclica Mit brennender Sorge del 14 marzo 1937, con cui Pio XI condannò «il nazionalismo esasperato e il culto della razza, nonché le aberrazioni del nazismo e le dottrine anticristiane da esso sostenute». Enciclica che denunciava, senza mezzi termini, le «rivelazioni arbitrarie che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza», e minacciava l'ira divina contro «colui» che predicava o permetteva che fossero predicate tali aberranti dottrine. Il Papa, rinfresca la memoria padre Sale, durante un'udienza concessa agli operatori belgi delle radio cattoliche, nel settembre 1938, affermò che «l'antisemitismo è inammissibile. Noi - disse - siamo tutti spiritualmente semiti». Qualche mese prima, il 29 luglio, a Castelgandolfo, rivolgendosi agli alunni del Collegio romano di Propaganda Fide, aveva dichiarato in aperta polemica con il Manifesto della razza che «il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c'è posto per delle razze speciali. La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana. Questo è il pensiero della Chiesa». Pio XI si impegnò «per bloccare innanzitutto l'emanazione della legge e non potendo ottenere questo, per ridurre al minimo gli effetti nocivi e discriminatori nei confronti degli ebrei, naturalmente dal punto di vista diplomatico e nei limiti di ciò che poteva fare. Alla fine fu sconfitto su tutta la linea e Mussolini ebbe la meglio. Però fu l'unico in quel tempo che si oppose con le sue forze e nell'ambito della sua competenza alle leggi razziali». Insomma, «quando Fini dice quello che ha detto sbaglia, evidentemente non conosce questa pagina di storia nazionale che vide contrapposti Pio XI e Mussolini». Da parte sua, chiosa infine il gesuita, «la Civiltà Cattolica, sempre su indicazione di Pio XI, contrastò con forza la teoria neopagana e anticristiana dell'antisemitismo razzista. E fu l'unica rivista italiana che si oppose, già nell'agosto 1938, alla legislazione razziale». Dopo che il primo articolo uscì, il 4 agosto 1938, sfuggendo alle maglie della censura politica, la questura di Roma, a nome del Ministero degli Interni, intimò alla tipografia che stampava la rivista di non pubblicare più scritti contrari alle teorie razziste, pena la chiusura dell'azienda». L'articolo condannava la teoria che riduceva la nazione alla razza, «difesa - scriveva padre Antonio Messineo - con una ostinatezza e un fanatismo ideologico degno di migliore causa e con una povertà di argomenti pseudo-storici e pseudo-scientifici, che fanno poco onore alla scienza, da tutti gli scrittori che traggono ispirazione dal mito razzista della nuova Germania». Tali teorie erano quindi definite «oltre che antiscientifiche, mostruosamente illogiche». Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni internazionali all'università del Molise, aggiunge che «Pierre Laval, primo ministro di Vichy, espresse il suo timore per un intervento del Vaticano sulle leggi razziali di Vichy come lo stesso Vaticano aveva fatto per le leggi razziali italiane. E difatti fu poi il nunzio Valeri a protestare presso Pétain. Ma per restare al '38 " continua lo storico " se uno prende l'Osservatore Romano del 2 luglio di quell'anno, trova un discorso in cui Pio XI definisce "detestabile" il nazionalismo e il cosiddetto separatismo, cioè il razzismo. L'ambasciatore americano in Italia, William Phillips, nota e comunica in Usa come le leggi razziali stiano compromettendo il rapporto fra i cattolici e il fascismo. E il 5 novembre del '38 il Governo americano, nella figura del segretario di Stato, fa notare al Governo italiano che il Vaticano ha preso una netta posizione pubblica contro le leggi razziali. L'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, con un telegramma del 12 novembre 1938, fa poi sapere a Mussolini, per mezzo di Ciano, che è prevedibile una nota di protesta del Papa in seguito al decreto legge per la difesa della razza. La protesta arriva due giorni dopo con una nota della segreteria di Stato vaticana, in cui si protesta appunto per il decreto. Ma non è finita. Sempre l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede dice che è prevedibile che anche nei colloqui e nelle udienze concesse dal Santo Padre questo atteggiamento di protesta vibrata non cesserà. Cosa puntualmente confermata dai verbali che abbiamo delle udienze. Ed è lo stesso Pacelli a registrare l'ostilità del Papa nei confronti di Mussolini. Papa che, non dimentichiamolo, intervenne anche per mitigare le leggi razziali tedesche e cercò di difendere le vittime, per esempio quando venne affidato al prefetto della Biblioteca apostolica vaticana, alla fine del '38, l'incarico di sondare le disponibilità Oltre Atlantico e organizzare l'espatrio di intellettuali ebrei in America. L'insigne geografo ebreo Roberto Almagià fu ospitato direttamente in Vaticano».Lo storico Andrea Riccardi lamenta infine un atteggiamento di fondo: «Qui si fa la storia con il senno di poi. Bisogna valutare le condizioni, le possibilità... La Chiesa del 1938, del 1943, non era la Chiesa di oggi. Inoltre, mi sembra che stiamo continuamente chiamando sul banco del correo la Chiesa per tutto, anche perché ormai nella crisi di tutte le istituzioni resta l'unica istituzione credibile e dunque vogliamo renderla imputata di tutto».