Letteratura. Kate Rhodes: Leggere un thriller per capire la realtà
La scrittrice britannica Kate Rhodes
Dal 18 al 26 agosto torna il Festival "Ventimilarighesottoimari inGiallo", evento letterario che Senigallia dedica al noir e al giallo civile. Tante le novità e gli autori a cominciare da Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo che saliranno insieme sul palco del Teatro La Fenice sabato 24 agosto per conversare insieme sulle "inattese ragioni del delitto", ripercorrendo alcuni dei più celebri casi di cronaca avvenuti in Italia. Nella giornata di apertura, fra gli autori internazionali di richiamo, la poetessa e giallista inglese Kate Rhodes (che in questo articolo per "Avvenire" racconta i tanti perché della sua scelta di scrivere romanzi gialli), presenterà l’ultima sua opera La baia. Tra i nomi noti al grande pubblico spiccano: Marcello Simoni, Giampaolo Simi, Ilaria Tuti. Non mancherà, inoltre, l’appuntamento con la lectio magistralis del filologo e critico letterario Massimo Raffaeli (22 agosto), dedicata quest’anno a Vincenzo Consolo.
Nel thriller, la fiction e la realtà hanno da sempre connessioni molto profonde. Il romanzo giallo, nelle sue molteplici sfaccettature (giallo deduttivo, thriller psicologico, hard boiled, noir, etc.), ha sempre rivestito un importante duplice ruolo nella sfera sociale. Il primo è stato quello di fotografare più o meno volontariamente la società del momento, il secondo quello di rassicurare i lettori. In passato forse, il primo punto, era più casuale: Agatha Christie per esempio era molto concentrata a raccontare la trama e l’indagine, soffermandosi meno sui personaggi. In questo modo riuscì a scrivere storie fantastiche, ma solo ai suoi personaggi principali riuscì a dare delle personalità complesse; eppure attraverso i suoi libri fu in grado di far emergere l’ipocrisia delle apparenze borghesi di quel periodo o, facendo un altro esempio, il fascino che l’archeologia suscitava nella società inglese di allora. Basti, inoltre, pensare alla letteratura scandinava, che io amo molto.
Henning Mankell, Stieg Larsson, Jo Nesbo, Anne Holt, Camilla Lackberg hanno saputo scrivere appassionanti romanzi, riuscendo a far emergere i loro amati Paesi e a far conoscere meglio al mondo sia i paesaggi straordinari in cui vivono che la politica e le particolari condizioni sociali che gli abitanti affrontano ogni giorno. Mankell nella sua carriera è riuscito poi, con un grande sforzo di documentazione, a tratteggiare in maniera così straordinaria non solo la sua Svezia, ma anche Paesi stranieri: basta citare l’eccezionale lavoro fatto in Il Cinese dove ha saputo dipingere perfettamente la complessa situazione politica e sociale della Cina dal diciannovesimo secolo a oggi, riuscendo addirittura a ipotizzare in modo molto concreto e verosimile quella di domani. Ecco ci sono scrittori che hanno anche questa grande capacità: quella di riuscire a prevedere tematiche che diverranno di grande attualità di lì a breve, o di sapere fare sul futuro della società previsioni di agghiacciante precisione. (Non si può non pensare a 1984 di George Orwell). Nel corso degli ultimi decenni, inoltre, sono molto cambiati anche i lettori di thriller. Ai lettori di oggi non basta più un buon mistero: hanno bisogno di saperne di più sulla psicologia che sta dietro a un crimine, o di quella che muove i protagonisti; hanno il desiderio di conoscere meglio certi spaccati di società in cui opera la storia; o di scoprire i paesaggi in cui viene ambientata. È per questo che gli autori, con il passare degli anni, hanno iniziato a introdurre, con sempre maggiore frequenza, elementi digressivi alla storia principale, che permettessero però di delineare meglio sia i personaggi, rendendoli più 'reali' possibile, che le problematiche sociali di una certa comunità.
Anch’io tocco spesso tematiche che prendono spunto dalla realtà: in romanzi ancora inediti in Italia, per esempio, ho affrontato la crisi mondiale bancaria del 2008, piuttosto che lo scandalo del sangue contaminato di qualche anno fa che fece contrarre a centinaia di pazienti sani, malattie come l’epatite C e l’Hiv. Perché purtroppo la realtà, a volte, ha la capacità di superare la fantasia. Uno dei tanti spunti che mi hanno spinto a scrivere La baia, il romanzo appena uscito con La Corte Editore, è stato ad esempio l’impatto del consumo di droga e del traffico illegale sulle piccole comunità rurali. Questo mi ha spinto a dover costruire un mondo credibile e quanto più reale possibile per i miei personaggi, facendomi scegliere le Isole di Scilly, che si trovano a quarantacinque chilometri dalla punta sud-occidentale del Regno Unito, circondate dall’Oceano Atlantico, che ogni inverno provoca brutali tempeste. In questo caso ero facilitata: ho iniziato a visitare le remote isole di Scilly quando avevo sette anni, e il paesaggio era per me facile da evocare. Conoscevo benissimo, infatti, come quattro delle isole avessero una popolazione inferiore a duecento abitanti e solo l’isola più grande, St Mary’s, avesse un ospedale e una scuola a cui partecipano tutti i bambini locali. Conoscevo la loro storia e e la loro mitologia. Sapevo che nella preistoria, prima che il livello del mare salisse, erano attaccati alla terraferma del Regno Unito, ma ora rimangono solo le cime delle montagne sopra la linea di galleggiamento, crivellate di tombe neolitiche. Oggi possono sembrare un’oasi di calma per i visitatori, ma erano un paradiso per i trafficanti nel diciassettesimo secolo.
È importantissimo conoscere quanti più dettagli possibile per poter creare una storia che suoni il più credibile possibile e che aiuti i personaggi a risaltare. Oggi le isole Scilly sono la cornice ideale per un misterioso omicidio, perché penso che ci sia qualcosa di particolarmente agghiacciante quando un brutale crimine viene commesso in un ambiente idilliaco, dove nulla va mai storto. E per Ben Kitto, il detective che ho creato, non sarà per niente facile riuscire a risolvere il caso in un ambiente del genere. Per chiudere torno a quanto dicevo all’inizio. C’è un secondo punto per cui la letteratura noir è sempre stata importante: quello di rassicurare il lettore. In modo inconscio, infatti, il fatto che alla fine il 'bene vinca sempre sul male', ha aiutato storicamente i lettori ad aver una maggior fiducia nei confronti della società in cui vivono. E per questo mi trovo anche in disaccordo con la polemica che spesso gira che accusa i thriller di essere 'pericolosi' e di accendere impulsi violenti in alcune persone. Credo infatti che, per quanto ogni autore cammini su un filo sottile e pericoloso, approfondire un crimine possa aiutare le persone a capire quanto inutile e sbagliata sia la violenza. Io ad esempio mi sforzo sempre molto per assicurarmi che i lettori possano vedere le tragiche conseguenze di ogni omicidio, invece di concentrarsi sul godimento di un killer per la sua brutalità e malvagità. Leggere è qualcosa che apre sempre le menti. Sempre. Non è mai pericoloso.