Agorà

Basket. LeBron James, l'anello del Re

Antonio Giuliano martedì 25 ottobre 2016

Eravamo rimasti lì, a un milione di persone in delirio per le strade di Cleveland per il primo storico titolo Nba dei Cavaliers. Fiumi di gente impazzita per il proprio re, LeBron James, perché "The King", caricandosi sulle spalle i suoi compagni aveva appena ribaltato una finale che sembrava già scritta contro Golden State Warriors (da 1 a 3 a 4-3). Questo accadeva nel giugno scorso. Ma il campionato dei sogni che riparte martedì notte sarà con ogni probabilità ancora un affare per due: LeBron James e i suoi Cavaliers contro Steph Curry e i suoi Warriors. Una sfida che incrocia ancora una volta i loro destini, perché LeBron (nato nel 1984) e Steph (del 1988), condividono la stessa città d'origine Akron, (Ohio), 200mila abitanti, 60 chilometri da Cleveland, e perfino lo stesso ospedale: venuti alla luce a 39 mesi di distanza nel medesimo Akron City Hospital. In comune talento e dedizione, ma strade per il successo molto diverse. Decisamente più in salita quella di James che a differenza di Curry, è cresciuto nel suo luogo natale fino a diventarne l'eroe, il simbolo di riscatto di un popolo.

L'infanzia

Un'infanzia durissima, perché Lebron suo padre non l'ha mai conosciuto. Gloria James, appena sedicenne, ha portato avanti da sola la gravidanza dopo essere stata probabilmente abbandonata dal suo compagno. Il piccolo, frutto di una relazione occasionale non voluta, è costretto da subito a fare i conti con la povertà di sua madre che non ha nemmeno un'abitazione per crescerlo. La donna deve spesso elemosinare l'ospitalità saltuaria di amici per salvarlo dalla strada e dalla malavita. James non lo dimenticherà mai: «Non ho idea di come abbia fatto a tenermi sempre felice, a comprarmi le scarpe, a farmi trovare tutti i giorni il cibo sulla tavola, a tenere calda la casa la notte d'inverno. Non ho idea di come abbia fatto e non glielo chiedo e non penso che lei vorrebbe dirmelo. Ma è lei la mia ispirazione». La svolta avviene negli anni del liceo, al collegio cattolico St.Vincent-St.Mary High School di Akron. Qui non solo si rivelano le sue esplosive qualità cestistiche, ma conosce anche Savannah, sua moglie, dalla quale ha avuto tre figli. Un luogo che gli ha cambiato la vita e lui non manca di riconoscerlo sostenendolo con donazioni importanti: la palestra della scuola dove è nata la sua leggenda oggi è intitolata a lui.

Il ritorno

La sua gente gli ha anche perdonato il grande tradimento, quando nel 2010 dopo sette anni con i suoi Cavaliers aveva deciso di far le valigie per Miami: la brutta finale persa nel 2007 da Cleveland (4-0 contro i San Antonio Spurs), gli impegnativi soprannomi ("Re" e "Prescelto") e i continui e frustanti paragoni con Michael Jordan l'avevano spinto a cambiar aria. Ma nel 2014 Cleveland non ha esitato a riabbracciare il suo "figliol prodigo" che dopo due titoli con i Miami Heats (2012 e 2013) prometteva l'impossibile: dare l'anello, il simbolo del primato, a una squadra che non vinceva mai e una città storicamente bollata come "the mistake on the lake", l'errore sul lago. Anche lui allora, gigante di 203 centimetri per 120 kg non ha retto e al termine della finale si è sciolto in un pianto liberatorio. Avrà forse ancora una volta ripensato alla sua ferita più grande: «Sai cosa papà? Non ti conosco, non ho idea di chi tu sia, ma a causa tua oggi sono quello che sono. Il mio carburante - il tuo non esserci stato - è parte del motivo per cui sono cresciuto così. Della ragione per cui voglio farcela con le mie forze. E riuscire a fare lo stesso con i ragazzi che sono con me».

La fondazione

Se c'è qualcosa di cui va orgoglioso oggi è la sua "LeBron James Family Foundation": «A parte la mia famiglia, è la cosa che mi sta più a cuore nella vita». L'ha ribadito di recente, confessando che la sua volontà di ritornare a casa in Ohio non era dettata solo da motivi sportivi ma dalla determinazione di portare a termine un'altra missione, quella di stare ancora più vicino ai ragazzi della sua terra: «Non voglio vederli cadere nella trappola della droga come sarebbe potuto succedere a me. Io sono stato fortunato ad avere le persone giuste al mio fianco che mi hanno messo sulla retta via. Quando qualcuno crede in te, tutto cambia. Ho creato una fondazione per consentire ai ragazzi di Akron di avere una buona educazione e di inseguire i propri sogni grazie alla loro formazione. E sono fiero di poter dire che con la fondazione abbiamo aiutato oltre 1100 ragazzi ad avere piani positivi per il futuro in sei anni con il nostro programma scolastico».

L'ultima sfida

A 31 anni LeBron James è un uomo che ha imparato molto dalle sconfitte guadagnandone in umiltà: «Invece di chiedermi "Perché io?", dico a me stesso "Questo è ciò che Lui vuole che io faccia"... L'Uomo al piano di sopra non ci pone in situazioni che non possiamo controllare». E guarda avanti. L'ultima rivincita è quella di tornare sui libri per laurearsi, visto che a diciotto anni per approdare subito nella Nba è stato costretto a saltare il college: «Mi sono iscritto all'Università di Akron e ogni volta che avrò un po' di tempo andrò in aula». Il bambino senza tetto che alle elementari perdeva le lezioni per i continui traslochi fortuiti ha deciso di colmare anche questa lacuna. Non vede però l'ora di scendere in campo per centrare uno storico bis: «Essere campioni in carica non conta. Un titolo non ci basta». Per il ritiro dalle scene c'è tempo. Ma LeBron ha le idee chiare su chi gli farà appendere le scarpe al chiodo: «Mi sono perso tantissimo dei miei piccoli ragazzi, i miei figli non sono riuscito a seguirli giocare, crescere, come avrei voluto. Per cui decideranno loro quando mi ritirerò. Me lo diranno loro quando saranno stanchi di vedermi a lungo lontano da casa».