Vi piace sciare? Nelle alte valli piacentine potete farlo. Vi interessa la pesca? Decine di torrenti permettono di dare sfogo al vostro hobby. La canoa vi appassiona? Ecco le acque della Trebbia tutte per voi. Vi piace camminare? Il territorio è votato al trekking. Dovete fare cure termali? Bobbio e Bacedasco vi attendono. Siete appassionati di storia antica? Ancora Bobbio è lì, al pari degli scavi della romana Velleia. Il romanico vi affascina? Ogni valle ha una chiesa degna di una visita. Poi ci sono i castelli, i borghi medievali testimoni di una storia che a Piacenza e dintorni ha lasciato impronte incancellabili. Grande storia: Annibale che umilia i romani nella battaglia della Trebbia e poi, dice la leggenda, si ritira nell’alta valle sotto le pendici del Lésima; i romani che fondano Piacenza come avamposto contro i celti della pianura padana; Calpurnia, moglie di Cesare, che è di queste parti; San Colombano che dall’Irlanda giunge in queste lande con pochi seguaci per fondavi un’abbazia per secoli centro di evangelizzazione, di cultura e di civiltà... Basta, vi è venuta voglia di mettervi a tavola dopo una escursione tra borghi, castelli, ruderi e rocche? Lo stomaco reclama? Ruspanti pisarei e fasoeu (gnocchetti e fagioli), agnolotti, gnocco fritto, robusti piatti di carne o di selvaggina, salumi che sono la fine del mondo (la coppa piacentina vale un viaggio) e tartufi bianchi dei boschi attorno alla diga della val Tidone vi delizieranno in qualunque trattoria. Un bianco e frizzante Ortrugo con gli antipasti, un rosso e vigoroso Gutturnio con le portate successive, e verrà voglia di intensificare le puntate in un territorio dove almeno di una cosa si può stare certi: si mangia divinamente. Guai parlare di dieta. L’unica dieta che ricordano è quella di Roncaglia, alle porte di Piacenza, voluta dal Barbarossa nel 1154, bissata poi nel 1158. «A forza di diete – ironizzano i buongustai – l’imperatore perse l’appetito». Val Tidone, val Luretta, val Trebbia, val Nure, val Chero, val d’Arda, in sei vallate è racchiuso un mondo che gravita su Piacenza come capoluogo naturale di un’area che le ragioni dell’orografia costringono a guardare al Po e alla pianura perché alle spalle, a sud, il crinale appenninico fa da barriera verso la Liguria e il mare. C’è un angolo in cima all’impervia val Boreca, scavata da un tributario della Trebbia, dove si incrociano i confini di Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia. C’è un paesino che si chiama Samboneto, comune di Zerba, che vanta una chiesetta che custodisce affreschi di epoca carolingia, ma si trova nella poco invidiabile situazione di essere separato dal suo capoluogo: una montagna invalicabile costringe a lunghe e tortuose peregrinazioni su strade della provincia di Pavia prima di rientrare nel Piacentino e raggiungere il municipio di competenza. Queste valli si riconoscono in un unicum culturale, tra il Po e l’alto Appennino le ragioni di campanile non prevalgono sulla coesione di fondo che porta a dire: sono piacentino e me ne vanto. Nessun complesso di inferiorità nei confronti dei vicini di Parma, che se hanno avuto Verdi e Toscanini non possono ignorare che piacentino di Castell’Arquato è invece Luigi Illica, librettista della Bohème, di Tosca, di Madama Butterfly, di Andrea Chénier. A una ventina di chilometri sorge una delle più importanti zone archeologiche della regione, Velleia,
municipium romano, città costruita su un preesistente agglomerato protostorico. Negli scavi è stata rinvenuta la Tabula Alimentaria Traianea, reperto utile alla comprensione degli assetti dell’economia rurale in epoca imperiale. E poi, quali complessi di inferiorità dovrebbero assillare un territorio che nella principale delle sue valli, quella della Trebbia, ha visto sorgere e prosperare la città di Bobbio? La sua storia si identifica con quella dell’abbazia di San Colombano, fondata nel 614 dal santo irlandese su terreni donati dalla «longobarda e cristiana regina Teodolinda», come ricorda una targa sul monumento al monaco inaugurato alcuni anni fa al sovrastante passo del Penice. Un’altra abbazia, Chiaravalle della Colomba, presso Fiorenzuola, impreziosisce queste terre. Risale al 1135, la volle San Bernardo in persona. L’impianto è di transizione tra il romanico e il gotico. Chiese, oratori, campanili, pietre scolpite, absidi sopravvissute ai lavori di rimaneggiamento di vetuste parrocchiali: il romanico trova compenetrazione con la vita e il carattere della gente. A Vigoleno, uno dei borghi più belli d’Italia, la pieve di San Giorgio del secolo XII offre a giudizio degli esperti la migliore testimonianza dei livelli sublimi toccati dall’architettura sacra romanica nel Piacentino, con impianto a tre navate e possente campanile quadrangolare. Di eccellente fattura il portale con una lunetta scolpita raffigurante San Giorgio che uccide il drago, di scuola antelamica. L’abside centrale è affiancata da absidi incomplete. In zona si dice: «Stupendo è il vin di Francia, squisito il vin del Reno, ma il vin di Vigoleno è il più sublime ancor». Sanno godere della bellezza e sanno godere la vita, questi piacentini.