Centenario. Le parole «vere» di Rodari, le opere raccolte in un Meridiano
Gianni Rodari con un grppo di bambini in un'immagine del 1979
Ci voleva il centenario della nascita (che cade domani, venerdì 23 ottobre) perché anche Gianni Rodari avesse finalmente il suo Meridiano. Mondadori manda in libreria, per la sapiente cura di Daniela Marcheschi, le Opere (pagine 2032, euro 90,00) dello scrittore piemontese, in due tomi, il secondo dei quali, Rodari a colori. Tavole, disegni, figure, è costituito da un prezioso quaderno di illustrazioni, a cura di Grazia Gotti, attraverso il quale viene ripercorsa la vicenda delle edizioni dei suoi testi più celebri, impreziosite dalle tavole di artisti come Verdini, Munari, Altan e Mattotti. Ma è Daniela Marcheschi a fissare, nella sua bella introduzione, la chiave di lettura di questo autore così originale, uno dei più tradotti nel mondo.
Innanzitutto ribadendo che l’idea per cui la letteratura per l’infanzia (nel cui àmbito Rodari è un autentico maestro) sia un genere in qualche modo minore è un pregiudizio assolutamente da sfatare. E a demolirlo contribuisce certamente la lettura di un’opera così limpida e insieme tutt’altro che banale quale quella di Rodari. Che, in un saggio dal titolo I bambini e la poesia, scriveva: «Quello che importa è dare ai bambini, con qualunque mezzo, parole “vere”, non suoni superflui da dimenticare immediatamente. E intendo, con parole “vere”, parole pronunciate da un adulto impegnato con la sua totalità in questa creazione. Parole, cioè piene».
Insegnante elementare, poi giornalista (per “l’Unità” e “Paese sera”), Gianni Rodari (1920-1980) si è dedicato alla letteratura per ragazzi a partire da Il libro delle filastrocche (1950), cui sono seguiti altri libri tutti di grandissimo successo.
Apprezzato per il brio dei suoi versi, la modernità delle favole e la genialità della sua Grammatica della fantasia, Rodari costituisce un punto di riferimento imprescindibile per gli studi inerenti le tecniche di invenzione narrativa.
Opere come Filastrocche in cielo e in terra o Favole al telefono appaiono oggi in tutta la loro moderna e sottile complessità. La curatela di Daniela Marcheschi, tra l’altro, svela i processi segreti del suo laboratorio letterario e mostra la sensibilità di questo scrittore verso il suo tempo. Rodari – afferma Marcheschi – «ha scritto storie in versi e in prosa di rara luminosità, guidando al contempo una riflessione sulla letteratura per l’infanzia in grado di cambiarne radicalmente le prospettive».
Centrale è la dimensione etica del racconto, incardinata su precisi valori umani e civili, pur senza mai scadere, lui che pure non faceva mistero della sua militanza a sinistra, in forzature ideologiche da “intellettuale organico”. Quelli che gli stavano davvero a cuore erano valori antropologici, che appartengono alla dimensione propriamente spirituale dell’essere umano.
Come scriveva lo stesso Rodari: «la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza nel rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di “sognare in grande”; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima: il coraggio di dire di no quand’è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non “fare come gli altri”, anche se per questo bisogna pagare un prezzo».
Fondamentale anche la riflessione rodariana sulla lettura, e sul rapporto tra lettura e scuola. In un saggio dal titolo Libri d’oggi per ragazzi d’oggi (che riprendeva il testo di una conferenza tenuta presso il Circolo della Stampa di Napoli nel 1967) lo scrittore confessava di ritenere la “passione” il primo requisito di un buon insegnante.
Smontava poi alcuni luoghi comuni, come l’affermazione che oggi si legga meno che in passato: ma quando si leggeva così tanto? cent’anni fa – si chiedeva – quando sessanta italiani su cento erano analfabeti? Ma la lettura non è qualcosa di istintivo o innato. Quello di leggere è un gusto che va educato, innestato, coltivato.
La scuola, che dovrebbe essere l’istituzione fondamentale chiamata ad assolvere questo compito, non sempre se ne dimostra all’altezza; anzi, a volte contribuisce a determinare dei danni irreparabili: «La scuola spesso fa il possibile per fare odiare i libri ai bambini trasformandoli in strumenti di tortura perché ci facciano sopra l’analisi grammaticale, l’analisi logica, la copiatura, la divisione delle righe in sillabe e poi il riassunto ecc. ecc., cioè aggiungiamo alle difficoltà della lettura queste altre difficoltà grammaticali, logiche, ecc. ecc., moltiplicando gli ostacoli che si frappongono fra il bambino e il libro invece di abolirli se possibile. La scuola fa il possibile per far odiare i libri ai ragazzi qualche volta, non diciamo sempre, esagerando il proprio carattere selettivo, giudicante: la scuola caserma, la scuola tribunale dove quello che conta è il voto, la pagella, gli esami, dove quello che conta insomma è il riflesso scolastico e, dove finita la scuola, naturalmente, cessando di agire il riflesso scolastico, il libro perde totalmente importanza ».
Riflessioni di più di mezzo secolo fa, ma tutt’altro che inattuali.