Shoah. Il pianto nascosto di Dio: i sermoni di un rabbino nel Ghetto di Varsavia
La linea tramviaria a Varsavia riservata agli ebrei
Ancora poco nota è la reazione del mondo religioso ebraico, in particolare del chassidimo, alle persecuzioni e alle politiche di sterminio adottate dal nazismo, che ebbero uno dei momenti più drammatici nel ghetto di Varsavia tra l’estate del 1940 e la rivolta, nonché l’annientamento, di quel ghetto nella primavera del ’43. Documenti tra i più significativi di quel tragico frangente storico sono senz’altro i testi delle omelie tenute da Kalonymus Kalman Shapira, il rebbe o leader spirituale della comunità di Piaseczno, che fu quasi interamente rinchiusa dai nazisti nel ghetto polacco.
Accuratamente preparati per consolare e rafforzare la fede dei chassidim, quei sermoni sono stati ora tradotti dall’ebraico con il titolo Nuovi responsi di Torà dagli anni dell’ira (Giuntina, pagine 360, euro 20) a cura dell’ebraista Luigi Cattani e con una lunga introduzione di Daniela Leoni, esperta di mistica ebraica, che fa luce non solo sulle drammatiche condizioni in cui vivevano gli ebrei polacchi in quegli “anni dell’ira” ma anche, anzi soprattutto, sulla volontà di mantenersi fedeli alla propria identità religiosa.
Molti rebbe scelsero di non emigrare (lasciando l’Europa in fiamme per salvarsi in Asia o in America) ma di restare a fianco dei propri discepoli, e il continuare ad osservare feste e digiuni del calendario ebraico in mezzo alle angustie costituiva per loro un autentico atto di resistenza spirituale, la miglior risposta all’oppressore, il quale non doveva neppure essere ricordato per nome.
In queste pagine infatti non ci sono né analisi politiche né invettive contro gli occupanti persecutori, ma solo il continuo riferimento alla fedeltà divina al popolo di Israele e l’esortazione a resistere, nella fede prima che con mano armata, per sopravvivere. Tuttavia, il rimando alle molte sofferenze patite dagli ebrei nella loro storia, a un certo punto ossia nell’omelia del 21 dicembre ’41, cede il passo alla consapevolezza che «le angustie terrificanti e le condanne a morte crudeli» del presente, in quei mesi e giorni pieni di odio, sono davvero senza precedenti in quanto «non sono paragonabili a tutto ciò che gli ebrei hanno vissuto nei secoli passati, nella loro storia».
Un giudizio simile è raro in questo tipo di scritti religiosi, e attesta la profonda consapevolezza di quanto stesse accadendo e quale fosse il destino a cui l’ideologia nazista aveva condannato gli ebrei d’Europa. In questi discorsi risuonano pertanto molte domande teologiche che saranno al centro della riflessione religiosa sulla Shoah negli decenni successivi, da parte di ebrei e cristiani. Come ha scritto la filosofa francese Catherine Chalier, «nell’orrore del ghetto di Varsavia, il pensiero di Kalonymus Shapira assume una dimensione straziante e fa salire sulle labbra interrogativi abissali». In un discorso di questo rebbe leggiamo tra l’altro: «Se il mondo potesse udire, se così possiamo esprimerci, la voce del Signore che piange, esploderebbe». Era infatti convinto che il Signore del mondo non potesse restare indifferente alle sofferenze del suo popolo e che il Santo benedetto, come afferma il Talmud, si stava nascondendo in un luogo segreto per piangere su tale tragedia. Una metafora potente, quella del pianto di Dio che se ne sta ritirato in un anfratto del mondo; essa si accompagna a un’altra immagine tradizionale, usata dal mondo rabbinico per cercare di dare un senso alla Shoah, l’immagine delle “doglie del parto”. Tanta sofferenza infatti, nel pensiero ebraico tradizionale, non può che far nascere qualcosa di nuovo e di grande, degno della più alta speranza messianica. Di tale speranza, nonostante tutto, sono piene queste omelie, giunte a noi (come molti altri documenti del ghetto di Varsavia) perché furono messe in taniche del latte e sotterrate, salvandosi così dalla furia distruttiva dei tedeschi.
Quando nel dopoguerra si ripulì, per così dire, l’area dell’ex ghetto e si scavò per nuovi edifici, quel materiale riaffiorò portando testimonianza imperitura dello scempio fisico e morale compiuto ai danni di ebrei ed ebraismo. Nel 1960 i sermoni chassidici di Kalonymus Shapira vennero pubblicati per la prima volta in Israele con il titolo Esh qodesh ovvero Fuoco santo, titolo quanto mai appropriato alla “prova del fuoco” che quei chassidim dovettero superare con la sola forza della loro fede.