Reportage. Non solo Ilva: ecco la Taranto delle meraviglie
Una veduta dell'area portuale di Taranto con il Palazzo del Governo
Dai bastioni del lungomare puoi osservare il fondale verde e azzurro con gli scogli punteggiati di ricci. Sui vermeti affioranti alcune sirene di pietra guardano verso il mare o tentano un incantesimo rivolte ai passanti. In fondo al golfo le isole come idoli marini, con la fortezza napoleonica nascosta nell’incavo di San Paolo e con le pinete a mostrare San Pietro così come doveva apparire nell’800 alle vedette sistemate sulle coffe di brigantini e vascelli. E poi c’è l’Isola della Città Vecchia, la magia di una casbah non ancora cannibalizzata dal turismo, coi sui vicoli arabi e la parte dei palazzi della nobiltà, quella alta, sfiorata di continuo dai gabbiani che planano dormendo in volo. E, a est dell’Isola, la Laguna con i pescherecci che rientrano alle banchine galleggianti in stile liberty coi loro manti di uccelli marini, le linee di galleggiamento ad aprirsi un varco nel mare dolce dei citri e i verricelli e gli scalmi che girano nel vento.
Sì, d’accordo, ma stiamo parlando di Taranto. E l’Ilva? Certo, l’Ilva. Ma dammi un attimo per citare il Marta, uno dei cinque musei più visitati nel 2017. Un edificio anonimo tra le vecchie banchine della Marina Militare e il centrale corso Umberto I che però custodisce tesori inestimabili. Un museo che contiene nelle sue sale i più importanti reperti della Magna Grecia tra cui gli ori, monili perfettamente conservati che attirano esperti, appassionati e turisti da tutto il mondo.
E poi le chiese. Taranto è la città di chiese di ogni epoca e ogni stile. Non solo la chiesa di San Cataldo, la cattedrale più antica di Puglia, ma anche San Domenico che ospita il rito del giovedì santo e poi la concattedrale Gran Madre di Dio progettata dall’architetto Giò Ponti, e Sant’Andrea degli armeni e tante tantissime altre.
Ma l’Ilva, le nubi tossiche, il quartiere Tamburi? Certo, l’Ilva… ma verso il faro di San Vito la costa è punteggiata di pinete e insenature. All’altezza di Saturo si può fare il bagno nella storia per i relitti di onerarie e lapidarie romane rimasti intrappolati sui fondali, per via delle torri di avvistamento saracene e dei resti di ville imperiali e criptoportici risalenti ai greci. E andando più verso Sud ci si muove tra dune di sabbia che profumano di cisti marini, corbezzoli, piante di cappero, oleandri e ginestre. Si possono visitare i mercati del pesce dove si vende il pescato alle grida e si può bere limonata sul lungomare dai contrafforti titanici e i bastioni altissimi mentre si osserva, nel tramonto occidentale, la sagoma scura dei monti calabresi.
E la sera puoi mangiare un panzerotto ripieno di mozzarella e pomodoro accanto a ciò che resta dell’immenso tempio di Poseidone, di fronte al Castello Aragonese. O spingerti nell’entroterra ionico dove ipogei, gravine con chiese rupestri e doline dai profumi intensi ti permettono di ritornare indietro nel tempo e dove le donne sedute nei cortili preparano la pasta fatta in casa mentre le mammane della Città Vecchia friggono all’aperto le pettole tenendo sotto controllo i ragazzini che si tuffano tra le sciaie dei giardini delle cozze.
Ma il siderurgico, la cultura dell’acciaio che ha causato problemi mostruosi? Sì, quello c’è, non si parla d’altro. Il gigante siderurgico che desertifica quartieri e inghiotte l’opinione pubblica è lì, lo vedi arrivando da Nord. Però la cultura a Taranto è ed è stata anche altro. Qui sono venuti Ungaretti, Quasimodo, Palazzeschi, Savinio, Carlo Bo, Raffaele Carrieri, Carlo Argan, Giorgio Bassani grazie a importanti iniziative culturali e grazie al Premio Taranto organizzato dall’intellettuale Antonio Rizzo tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 e dedicato alla letteratura e all’arte pittorica. E in una circostanza a Taranto vennero premiati un giovane e poco conosciuto poeta, Pier Paolo Pasolini, e Carlo Emilio Gadda, sicché non esiste solo l’acciaio.
E poi passeggiare per la Città Vecchia, per il Borgo o lungo le vie squadrate dei quartieri popolari è come camminare nei millenni. Accanto alla bottega di Emanuele il cozzaro c’è una necropoli ellenica del IV sec. a.C. con centoquaranta sepolture. Un vero villaggio funebre che sorge tra il tribunale e la rivendita di cozze. E se ti addentri in via Terni puoi trovare la cripta del Redentore con una sorgente perenne, una tomba a camera di età romana e affreschi con il Cristo pantocratore tra San Giovanni e la Vergine e proprio di fronte c’è quella che in passato è stata la palestra di judo gestita da una cintura nera che risponde al nome di Giancarlo Cito.
Se poi decidessi di visitare la tomba degli Atleti, tra via Pitagora e via Crispi coi sette sarcofagi che hanno ospitato leggende dello sport in epoca ellenistico arcaica potresti spostarti di un isolato e citofonare a nonna Maria. Nonna Maria gestisce un negozio di alimentari che poi è casa sua. Tu citofoni, chiedi un panino con la mortadella, lei cala un cestino, tu ci infili un euro e cinque minuti dopo il cestino torna a calare con rosetta imbottita di mortadella (guai a chiamarla Bologna, nonna Maria rovescerebbe olio bollente dalla finestra) e magari anche una birra Raffo di rinforzo.
Taranto, insomma, come un fermo immagine sul V secolo a.C., sugli anni ’70 del secolo scorso e con schegge impazzite direzione nuovo millennio. Ma l’Ilva, parla un po’ dell’Ilva!
Aspetta, c’è il Castel Sant’Angelo che da qualche anno è visitabile. L’ex caserma, ex carcere, bastione di controllo all’imbocco del Canale, depositario del sistema di azionamento del Ponte Girevole oggi mostra i suoi tesori anche grazie a un ammiraglio filantropo e a un nuovo atteggiamento da parte della Marina Militare. E poi ci sono i cento ipogei nella Città Vecchia, si entra nelle viscere della città spartana, dell’unica città spartana d’Italia e si visitano fornaci, atavici magazzini di granaglie, antichi nascondigli con tanto di cala a mare e…
Ma che mi dici della cokeria? Del laminatoio a freddo e di quello a caldo? Prima di rimpinzarti con queste leccornie al carbon coke fammi nominare l’unica pizzeria condominiale, in zona ospedale SS. Annunziata. Si tratta di un locale senza nome e senza insegna frequentato in modo prevalente dai condomini del palazzo in cui si trova. La gente va a mangiare il pollo fritto, le pizze, le pucce ripiene di uccelletti, i coccioli marinati olio e aceto e guarda i programmi più gettonati alla televisione. I prezzi sono stracciati e possono accedervi anche clienti esterni, a patto che riescano a trovarla. D’accordo, ma l’Ilva? Ne parliamo un’altra volta, che ne dici?