Agorà

RISCOPERTE. Le «confessioni» di Luce d'Eramo

Fulvio Panzeri giovedì 22 novembre 2012
​Finalmente si ritorna a parlare di una delle grandi scrittrici italiane del Secondo Novecento, Luce d’Eramo, a più di dieci anni dalla morte, avvenuta nel 2001. E lo si fa perché finalmente alla D’Eramo viene dato il riconoscimento che le spetta, quella di entrare nella collana di «classici contemporanei» di Feltrinelli, nella nuova serie delle "Comete", varata in primavera, accanto ai nomi di Testori, di Bassani e di Tabucchi. Esce infatti in questi giorni, la nuova edizione di Deviazione (pp. 416, euro 25.00), il libro che l’ha fatta conoscere al grande pubblico. Fu un significativo "caso letterario" nel 1979, uno di quelli veri, che portano per settimane in testa alle classifiche e a traduzioni in francese, tedesco, spagnolo e giapponese. Qui Luce d’Eramo racconta la propria, singolare esperienza durante la seconda guerra mondiale. La stessa autrice in un articolo del 1999 ricordava: «A fine ’45 avevo vent’anni quando sono rientrata in Italia dalla Germania, dov’ero stata nel Lager, poi evasa, e poi m’ero ritrovata ferita negli ospedali. Allora mi pareva ingenuamente che tutti fossero curiosi di sentire cosa avessi imparato in quelle dure esperienze del Terzo Reich». Da una parte si sente dire di dimenticare, di lasciare tutto al passato; dall’altra invece si trova di fronte a chi ha il proprio giudizio sulla disumanità nazista e non lo vuole mettere in discussione. Lei sceglie il racconto di quell’esperienza che la impegna per molti anni e che troverà la sua forma conclusa in Deviazione. Scriveva ancora la D’Eramo: «Dopo, in verità, ero talmente satura del mio vissuto e dei commenti della gente sulla guerra mondiale, che mi ritirai nel privato, studiando e scrivendo per conto mio. Quando infine ho pubblicato la storia della mia esistenza nel ’79 (avevo impiegato più di trent’anni a venirne a capo), quando finalmente m’è parso d’aver capito e ricostruito il corso del mio vivere fino al ’77, data in cui ne ho concluso il racconto ho potuto concentrarmi in quello che era stato il mio sogno: di capire al presente». Gli anni dedicati alla scrittura di Deviazione sono anche quelli delle grandi amicizie letterarie: quella con Ignazio Silone, in cui gli scambi intellettuali sono intensi, anche perché il destino vuole che siano vicini di casa (e proprio a Silone dedica anche un’importante monografia); e poi ancora con Moravia e con la Morante, con Zavattini, con Amelia Rosselli, con Dario Bellezza. Con un tensione che in Io sono un’aliena, pubblicato nel 1999, la scrittrice definisce come necessità di «una coscienza della trascendenza, perchè l’eccesso d’accanimento quaggiù si possa alleviare. Se tornassi a nascere, vorrei vivere questa coscienza spazialmente, vorrei diventare cosmonauta e esplorare l’universo». Il figlio Marco, in un intenso ritratto, sottolinea quanto «l’affascinava la pretesa di alcuni umani di rappresentare la divinità in terra e così sono sempre stati intriganti, fittissimi i suoi rapporti con gesuiti come padre Vanzan, domenicani come Pio Van Diemen, teologi come Ravasi». Ora ritroviamo quella che lei stessa ha definito la storia della sua esistenza fino quasi alla fine degli anni Settanta, una storia che mette in luce «una vita scabra, drammatica, appassionate», come la definisce il figlio Marco, con decisioni coraggiose, come quella di scappare dal castello in cui vivevano i genitori (il padre nel 1944 era sottosegretario all’aviazione della Repubblica di Salò) per andare a lavorare nei campi di concentramento in Germania, «prima come ingenua volontaria fascista partecipante ai Littoriali, poi come deportata comunista, condizione che sceglie volontariamente per non "compromettersi" col privilegio della salvezza garantitole dalla posizione del padre. Fuggita da Dachau, cameriera a Magonza, fa parte di una squadra di volontari che scavano tra le macerie dei bombardamenti e una bomba a scoppio ritardato la lascia paralizzata per tutta la vita. Questo racconta il libro, importante e unico, dal punto di vista tematico e dell’innovazione di una scrittura mobile affinchè «le parole scompaiano nella cosa detta. La scrittura come mezzo di trasporto dei fatti e pensieri da comunicare, come supporto quasi invisibile della storia che si svolge nella mente e nei sensi di chi scrive e di chi legge».È più di un romanzo e anche di un’autobiografia. Nadia Fusini, nell’introduzione a questa riedizione, sottolinea: «Più che un’autobiografia, è un memoir, e del memoir ha l’impegno dichiarato verso il reale, che non significa affatto che debba rispondere alla realtà dei fatti. In parte Lucia lo fa; in parte però se ne distrae, perché la verità interiore è l’appello più forte per la coscienza della donna e della scrittrice che quella giovane ragazza spericolata e audace e sventata diventa, grazie alle esperienze che vive». Da riscoprire o da leggere per ritrovare l’esemplarità di una vita, che ha voluto sempre guardare al giusto, senza scorciatoie, anche quando la scrittura è diventata una necessità e una virtù per la D’Eramo.​