Agorà

LETTERATURA. Le Confessioni di Flannery O’Connor

Lorenzo Fazzini giovedì 12 febbraio 2009
Chi le ha visionate integral­mente – come lo studioso Wil­liam Sessions – non esita a de­finirle «la più importante collezione di lettere della letteratura america­na nell’ultima parte del secolo scor­so ». Anche perché i temi trattati in queste decine di missive inedite so­no quanto mai significativi: la fede, il mestiere di scrittrice, la letteratu­ra e il cristianesimo. Vengono alla luce – e Avvenire può ri­portarne in esclusiva alcuni passag­gi – oltre un’ottantina di lettere mai viste di Flannery O’Connor, consi­derata la più grande narratrice sta­tunitense del Novecento. Lo ha an­nunciato la Emory University di A­tlanta, in Georgia, lo Stato nativo del­l’autrice de Il cielo è dei violenti, che ha svelato l’esistenza di questi testi con vent’anni di «ritardo», da quan­do, cioè, Elizabeth « Betty » Hester, corrispondente della O’Connor, de­cise di depositare alla Emory l’inte­ro epistolario intrattenuto con la scrittrice. Parte di quel lascito venne pubblicato in The Habit of Being. Let­ters nel 1979 (in italiano uscito per Ei­naudi nel 2001 col titolo Sola a pre­sidiare la fortezza. Lettere), ma l’in­dicazione della destinataria che la O’Connor definì come « qualcuno capace di cogliere gli intenti del mio lavoro» era rimasta anonima. Ora si svela nella persona di Betty Hester, una lettrice con cui la O’Connor ri­mase in contatto dal 1955 al 1964, anno della sua morte. «Penso che la Hester fu la corrispondente più im­portante nella vita della O’Connor» afferma Steve Ennis, direttore della biblioteca dei testi rari della Emory University. «Questo viene confer­mato dal numero di lettere scritte quando la O’Connor era al sommo della sua creatività». Infatti lo soste­neva la stessa Flannery in una mis­siva a Betty datata 21 aprile 1956: «Stai pur certa che le tue lettere han­no un peso nella mia vita». Un po’ «bottega narrativa», un po’ sfoghi personali ed intimi, un po’ ri­flessioni religiose ad alta voce: que­sto e altro si trova nell’epistolario i­nedito della O’Connor, che confer­ma la caratura della grande scrittri­ce dell’America profonda. Come quando, scrivendo da Milledgeville il 5 ottobre 1955, annuncia a Betty la lavorazione del suo nuovo scritto narrativo, che sarà poi Il cielo è dei violenti, uscito nel 1959: «Ti mando un capitolo del romanzo che sto scri­vendo adesso ma non sentirti in do­vere di rallegrartene o di commen­tarlo, dovrebbe solo assicurarti che non mi sono allontanata dal mio ro­manzo ironico su una donna intel­lettuale che si approccia a Dio». Vi sono poi alcuni riferimenti a gran­di personaggi che per la O’Connor sono stati veri punti di riferimento culturali e spirituali. Annota nella lettera del 28 gennaio 1957: «Ho in­terrotto St. Gertrude per Edith Stein. Ogni cosa che Edith Stein ha fatto mi sembra la perfezione di quello che Simone Weil voleva fare, fino al pun­to di essere uccisa con il gas. Simo­ne Weil non voleva qualcosa di me­glio se non morire nella camera a gas. Queste due dovrebbero essere lette insieme». Vi è poi, nella missiva del 16 agosto 1958, uno squarcio di quel legame tra letteratura e cristianesimo che per la O’Connor era naturale quan­to il respiro: «Ieri mi ha fatto visita il dottor T. R. Spivey dal Ga. State Co­lige of Bidnis Adminnerstrsion [sic!]. Mi aveva scritto una lettera prima dicendo che aveva letto The Living Novel e che era interessato nella di­scussione del problema dell’espe­rienza religiosa nel romanzo. Così ieri è arrivato e abbiamo discusso del problema dell’esperienza religiosa nel romanzo. Egli conosce un bel po’ di teologia, è un protestante ed è in­teressato nella rinascita religiosa, crede che il protestantesimo sia col­pito, non si è espresso sul cattolice­simo, sta pazientemente aspettan­do il grande crollo, la dissoluzione della vita moderna». Dal to­no leggermente ironico di tale passaggio si percepisce come per la scrittrice della Georgia trasferire in roman­zo il proprio sentire religio­so non fosse una questione da salotto letterario, ma una vicenda che impegnava la sua esistenza. Che – come si deduce dal passaggio qui a lato tradotto – era intreccia­ta con il mistero della Redenzione. Nelle lettere ancora inedite com­paiono poi, qui e là, curiosi bozzet­ti della vita di una scrittrice di suc­cesso come la O’Connor. Ad esem­pio, l’annotazione – ferocemente i­ronica – sui giornalisti: «Ieri – scrive il 5 settembre 1956 – una certa miss Cawthorne mi ha chiamato dal Jour­nal e mi ha fatto molto domande. Del tipo: miss O’Connor, ehm, … gli scrittori, lei lo sa, si ritiene amino le persone e io ho sentito … ehm .. che lei … ehm … non ama le folle e tut­ta la gente … ehm, cosa pensa di questo, cioè dell’amore verso le per- sone?». Ancora sul mestiere di scri­vere: «Avevo un insegnante di scrit­tura molto bravo, Andrew Lytle, che diceva sempre: 'Scava il tema'. Col­pisci il lettore ma non fargli mai ca­pire cosa lo ha colpito; se lui capisce cosa l’ha colpito, non riuscirai più a colpirlo di nuovo». Vi sono poi con­sigli a Betty su come maneggiare il dialetto: «Tu sei troppo portata nel tuo uso del dialetto. […] Non puoi essere assolutamente naturalistica con il dialetto. […] È molto irritante per l’occhio del lettore e distrae la tua mente dalla storia e la mette in qualcosa di poco importante». E, in­fine, qualche giudizio di critica par­ticolarmente esplicito: riferendosi ad un amico, scrive a Betty: « È ri­masto choccato del fatto che io non ammiro Truman Capote e Carson McCullars. Io sono rimasta chocca­ta del fatto che lui si sia stupito di ciò».Pubblichiamo, qui di seguito, una lettera inedita contenuta nel volume.«Cara Betty, noi non siamo la nostra storia. È questo il senso della Redenzione» Milledgeville 31 Ottobre 1956 Cara Betty,questo weekend sarò troppo coinvolta nel disordine di Atlanta per scriverti, così ti sto scrivendo adesso anche perché vorrai conoscere cosa penso di tutto quello che mi hai scritto e anche perché non posso scriverti abbastanza in fretta e dirti che questo non ha creato la benché minima differenza nella mia opinione su di te, che è la stessa di prima, e che è questa: solidamente basata sul rispetto completo. Avevo un cugino che era solito dire: «Non c’è niente di più facile che seppellire i bambini degli altri», e io ho la tendenza a disfarmi delle sofferenze delle altre persone, ma questa, essendo un tuo dolore, sarà anche sempre parte di me. Mi colpisce per il semplice fatto che ha colpito te e ciò dura nel tempo fino a quando ferisce te.[…]Tu ti stai sbagliando nel dire che sei una storia di orrori. Il significato della Redenzione è precisamente che noi non dobbiamo essere la nostra storia e niente è più semplice per me che dirti che tu non sei la tua storia. Non ho dubbi che tu, come dici, sei insopportabilmente colpevole e che hai accettato la colpevolezza e hai trovato un modo di soffrirne e che fai questo per Dio. Questo è solo l’inizio di quello che devi accettare. Ciò che devi accettare adesso è il perdono e io ti dico che questo è la cosa più difficile da accettare e che devi farlo continuamente. Nulla di tutto questo è una cortesia o una gentilezza o qualcosa di buona educazione da parte mia, e non è comprensibile. Non inizio a comprendere. Ma tu ti preoccupi se mi crea una qualche differenza se tu sparisci dalla mia esistenza. Certo che fa differenza. Mi sarebbe impossibile lasciarti. Tu mi hai fatto solo del bene e mi hai dato il regalo che volevi, ma il fatto è che, sopra tutto e oltre a tutto, io ho una relazione spirituale con te; io sono la tua padrina, mi sono autonominata tale dalla prima volta in cui mi hai scritto, e questo significa che ho il diritto di stare dove sono stata messa. […]

Tua, Flannery