Lo scrittore. Larsson: «Ci preoccupiamo troppo poco di essere umani»
Lo scrittore svedese Björn Larsson (foto Boato)
Martin Brenner, il protagonista del nuovo romanzo di Björn Larsson La lettera di Gertrud (Iperborea, pagine 466, euro 19,50) è uno scienziato ansioso di comunicare al mondo la grande scoperta della genetica, cioè che le razze non esistono: il genere umano è uno solo. E proprio lui, fieramente agnostico e avverso a ogni identità predeterminata, fa una scoperta sconvolgente: sua madre, appena defunta, gli ha lasciato una lettera in cui gli rivela di essere un’ebrea sopravvissuta ad Auschwitz e di non avergli mai detto niente per non esporlo all’odio antisemita, ma decide infine di dirgli la verità per lasciarlo libero di «scegliere chi e cosa essere». Per Martin è un vero trauma, perde il controllo delle proprie azioni e finisce per mandare in pezzi la sua vita, diventando un personaggio in cerca di autore: si rivolge a Björn Larsson perché renda la sua testimonianza un romanzo, per far capire quello che ha vissuto «dall’interno», come solo uno scrittore può fare. La fama internazionale del sessantaseienne autore svedese è decollata venticinque anni fa col best seller La vera storia del pirata Long John Silver. Di casa ormai in Italia dopo aver vissuto e insegnato in diverse nazioni europee, è in arrivo a Milano per inaugurare col suo libro 'I Boreali - Nordic festival' giovedì prossimo alle 18,30. Ma avrà preso spundo proprio da una storia vera per il suo ultimo libr? «È tipico di un romanziere raccontare delle verità possibili nel mondo reale. Ci sono state tante storie simili, di sopravvissuti all’olocausto per i quali la rimozione è stata una strategia di sopravvivenza, una posizione che da altri è stata severamente condannata. Martin per capire meglio la scelta di sua madre legge una quantità di saggi e romanzi che sono indicati nella foltissima bibliografia inserita alla fine del libro. Sono gli stessi libri che ho letto anch’io per documentarmi sulla storia che volevo raccontare. Ho scelto di focalizzarmi sulle persecuzioni antisemite ancora oggi in atto, per dimostrare quanto l’ideologia possa influenzare i pregiudizi più assurdi. Gli ebrei nel mondo sono meno di quindici milioni, un’assoluta minoranza che non ha mai procurato danni, né minacciato altre comunità, non sussistono ragioni per cui siano presi di mira. E non regge la giustificazione che sia la politica aggressiva d’Israele a fomentare l’antisemitismo, perché è un fenomeno ben più antico, senza contare che ci sono altri paesi anche più aggressivi ma non per questo vilipesi e screditati»
Martin Brenner dichiara di aver scelto lei come suo portavoce perché siete entrambi in cerca di «una risposta alla domanda su cosa distingue l’umano dall’inumano».
In effetti ho scritto questa storia per una mia preoccupazione esistenziale, quella del rifiuto di ogni etichetta di appartenenza, in nome di un umanesimo oggi sempre più decostruito, privato dei suoi valori. Un’esigenza che ho sentito fin da ragazzo, quando ho rifiutato di fare il servizio militare perché non mi riconoscevo nel ruolo di combattente in nome del popolo svedese. Come diceva Hannah Arendt, non si può amare un intero popolo (e nemmeno odiare, aggiungo io), ma soltanto singole persone. In un popolo sono comprese anche persone orribili, perché bisognerebbe amarle grazie a un’etichetta di appartenenza? Io sono sempre stato un cittadino del mondo, ho vissuto sulla mia barca in tante nazioni europee e sono rimasto sempre lo stesso, con i miei pregi e difetti , in qualsiasi paese. Oggi si tende a catalogare per gruppi: di sesso, di religione, di partito. C’erano persone come Nelson Mandela, Vaclav Havel, che parlavano semplicemente di esseri umani, oggi mi sembra ci sia rimasto solo il Papa a parlare dell’Uomo in quanto tale.
Nel romanzo non si trovano riferimenti geografici: non vuole far sapere dove si svolge la vicenda di Martin?
Esattamente. Questa storia riguarda la crisi di un modello di vita, e non volevo dare l’idea che potesse svolgersi soltanto in un dato paese. Ovunque l’uomo può vivere bene, se è fedele a se stesso. Io l’ho provato personalmente.
Nel romanzo, per difendere le sue ragioni Martin partecipa ai talk show, trovandosi bersaglio di un odio che lei definisce «la piaga del nostro tempo», in cui l’essere «anti» sembra aver soppiantato l’essere «filo» e lo spirito dei tempi è rappresentato dalla polemica: non conta più cos’è vero o falso, giusto o sbagliato, ma contano l’audience e il numero di followers.
Penso che questa tendenza sia innescata proprio dal senso stretto di appartenenza, che indica paura del mondo, del cambiamento, è una retromarcia perchè ci si sente minacciati. Io non credo che oggi ci siano più razzisti, ma sono molto più visibili attraverso i media e i social dove hanno campo libero per fomentare le paure collettive.
Lei scrive: «In una situazione del genere, non è facile credere nel potere salvifico della letteratura». Però lei continua a crederci, non è vero?
Ma certo. La letteratura fornisce l’indispensabile allenamento della fantasia, l’allargamento degli orizzonti. Per capire gli altri bisogna fare un salto di qualità attraverso l’immaginazione. Se ci si attiene solo dalla propria esperienza non ci si potrà mai aprire agli altri. Questi benefici effetti della letteratura sono appannaggio quasi solo delle donne, che rappresentano il 70% dei lettori, perché purtroppo la maggior parte degli uomini non legge romanzi, eccetto i thriller, eppure sono loro che ne avrebbero più bisogno.
A proposito di letteratura, domenica prossima alle 17 al festival I Boreali lei parteciperà al dibattito “Viaggio nella letteratura scandinava” in occasione della presentazione della Storia delle letterature scandinave dalle origini ad oggi (Iperborea), che dà molto spazio all’età contemporanea. È soddisfatto di quello che si scrive di lei?
A dire la verità non l’ho ancora letto, però senz’altro sarò trattato meglio in questo testo italiano di quanto facciano in patria, dove non sono tanto apprezzato, perché non sono abbastanza “svedese” come scrittore. Si vede che avendo tanto vissuto all’estero il mio stile di scrittura si è modificato, è più europeo, una qualità di cui sono orgoglioso.