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L'intervista. L’arcivescovo D’Ambrosio: dalla fede la bellezza della nostra città

Giacomo Gambassi sabato 20 settembre 2014

Dalle finestre osserva piazza Duomo che con la chiesa-madre della diocesi, il palazzo vescovile e il Seminario trasformato in museo è lo scrigno del Barocco leccese. “Questo angolo è sempre invaso di turisti – spiega l’arcivescovo di Lecce, Domenico Umberto D’Ambrosio –. Dal mio studio sento le voci delle guide turistiche che spiegano questo cortile dove l’arte fa incontrare la Parola di Dio con l’Eucaristia. Inoltre questa piazza ha un’acustica perfetta e al tramonto scruto spesso il campanile della Cattedrale che si colora di rosso quando il sole cala”.

Eccellenza, quale momento sta attraversato il territorio leccese? “Oggi il comprensorio è segnato dal disagio e dalla disoccupazione soprattutto giovanile. Larghe fasce della popolazione soffrono. Le aziende chiudono. È vero che si vive con poco, ma si fa fatica. Lo dimostra il fatto che le mense Caritas sono sempre più affollate. La situazione è preoccupante. Gli indici locali di disoccupazione sono più alti della media nazionale. E come Chiesa locale abbiamo attivato anche un fondo di solidarietà per aiutare i giovani”.

Eppure Lecce è la città del bello, la “Firenze del Barocco”. “I mecenati che fin dal Cinquecento hanno fatto di Lecce una città-gioiello sono i vescovi. Se facessimo affacciare sulla stessa strada tutte le ventinove chiese del centro storico, formeremmo il più bel viale del mondo. E questo dice la fede di un popolo che si tramanda da secoli”.

La Chiesa locale è custode delle chiese del centro storico che sono gli emblemi della città. Si fa fatica a preservare questo patrimonio? “Nonostante la conclamata bellezza, le istituzioni latitano. Solo grazie alle Confraternite che sono proprietarie delle chiese del centro, riusciamo a garantire il decoro minimo. Per il resto non possiamo programmare restauri: non abbiamo i fondi. Speriamo che in vista di Lecce 2019 si possa trovare un sostegno”.

Qual è oggi il rapporto con il sacro? “Qui si vive una fede essenzialmente tradizionale. Ed è forte la religiosità popolare. Fra i segnali incoraggianti ci sono quelli sulla ripresa delle vocazioni sacerdotali: abbiamo quindici seminaristi. Il vescovo è un punto sicuro e la gente si aspetta da lui parole contro le ingiustizie, i disagi, le connivenze. La Chiesa resta un riferimento”.

Come descrive la sua gente? “Siamo di fronte a una comunità che sa aprirsi a chi è nel bisogno. Lecce non è una città chiusa o egoistica. E’ nota la generosità del popolo salentino. E la nostra gente è capace di grandi gesti di solidarietà”.

Dal punto di vista culturale? “Lecce è uno scrigno. E’ una città ricamata. Inoltre ha un’ottima università che è giovane ma già affermata”.

Si parla spesso del fatalismo del Mezzogiorno. “Lecce non si è lasciata affossare dal fatalismo. E’ in grado di andare avanti. E ci sono segni concreti di realtà che cercano un riscatto”.

Come l’Europa può guardare a Lecce? “Se l’Europa tiene conto soltanto dei parametri economici, non può aiutare il Sud a uscire dalle sue difficoltà e consentire che ci siano risposte adeguate alle attese dei giovani”.