Il personaggio. Germano Lanzoni, a lezione dal mio "Milanese"
L'attore Germano Lanzoni, 58 anni, il protagonista dei video del "Milanese Imbruttito" portato al cinema nell'ultimo film "Ricomincio da Taaac"
Da quando nel 2013 ha fatto la sua prima apparizione su Youtube, “Il Milanese Imbruttito” è diventato un fenomeno virale e un caso antropologico, molto prima che il protagonista cinematografico dei due film Mollo tutto e apro un ciringhito e l’ultimo, dopo le sale su Prime Video, Ricomincio da Taaac. «Film che nascono dalla profonda sensibilità e dal genio creativo di cinque ragazzi, cinque amici usciti dalla Scuola di Cinema, qual è il collettivo “Terzo segreto di satira”», sottolinea il principe del taaac, l’attore Germano Lanzoni. È lui il Signor Imbruttito. Il 58enne milanese, è un capocomico della commedia dell’arte che la macchina del tempo ha trasportato dagli spettacoli rinascimentali delle corti ducali sotto la hall metropolitana del Bosco Verticale. Un personaggio e una lingua, un dialetto sommerso, il milanese, che con il patchwork della metropoli multiculturale si è fatto slang diffuso. E il Germano reale, inteso come il Signor Imbruttito, fa da ponte tra quella Milano anni ’70, città dell’accoglienza e delle notti al Derby, e quella americanizzata tutta «Borsa, business e fatturato» dei giorni nostri. Lo intercettiamo mentre sta per andare in scena con la ripresa di uno spettacolo, Stretching emotivo, un cavallo di battaglia quanto Recital e quelle serate di teatro-canzone allo Spirit de Milan con Folco Orselli, Flavio Pirini, Walter Leonardi e Raffael Andres Didoni. Gli artisti e amici di sempre, «come quelli di scuola, comprimari e spettatori non paganti delle prime prove di cabaret in classe , passando poi per i peggiori locali di “Caracas”, le cantine di periferia della Barona, i teatrini off, i centri sociali, gli arci e i villaggi, fino al diploma alla Scuola del Teatro Arsenale di Marina», sciorina il curriculum.
Un percorso da fratello minore delle eminenze cabarettistiche del mitico Derby Club.
«Sono figlio del cabaret e del palco dello Zelig, non quello televisivo ma nel locale di viale Monza 140. Purtroppo non ho fatto in tempo ad esibirmi al Derby, perché chiuse nel 1986, ma la mia generazione è cresciuta guardando a quei mostri sacri del cabaret, come Cochi e Renato, al grammelot di Dario Fo e Paolo Rossi, al teatro canzone di Giorgio Gaber e Enzo Jannacci, i Gufi… Leggendo i racconti da scighera di Umberto Simonetta, ascoltando i cantastorie nelle serate fumose nei “trani”, le nostre trattorie. Tutti artisti che hanno edificato la comicità milanese che anche quando sprigiona allegria in fondo pizzica due corde: quella dell’ironia e della malinconia. E con il tempo e dopo tanta gavetta ho capito un po’ di cose: che il mestiere del comico o del “matto con licenza” è usare la follia per dire la verità e che la risata è uno strumento per condividere qualcosa di valoriale, ma anche un mezzo narrativo per arrivare al cuore della gente».
Oltre i grandi maestri quel taaac rimanda a un genius loci della comicità, Guido Nicheli: per gli amici il “Dogui” del primo Vacanze di Natale dei fratelli Vanzina.
«Purtroppo il “Dogui”, bergamasco trapiantato a Milano, è morto nel 2004 e non l’ho conosciuto di persona, perché al tempo stavo dietro a un altro tipo di comicità. Ma ho avuto un padre molto simile a Guido Nicheli ed è lui che mi ha ispirato il Milanese Imbruttito. Mio papà, classe operaia degli anni ’50, 7.15 puntuale in fabbrica al mattino, otto ore di lavoro e al sabato sera, elegantissimo, protagonista in pista di ballo. Era un personaggio da commedia all’italiana, monicelliano, con gli amici suoi raccontava di un’estate in cui per pagarsi la vacanza a Rimini in spiaggia vendevano panettoni avanzati a Natalee piadine con i canditi, e di notte dormivano vicino al porto nel furgone».
Il Milanese Imbruttito dialoga con i millennials che al proprio gergo rap, oltre al sacro «taaac» aggiunge idiomatiche tipo «Un negroni sbagliato è sempre giusto» o «giargiana». Ma poi questo «giargiana» nessuno sa cosa sia…
«Le frasi dei video del Milanese Imbruttito come le t-shirt con le sue idiomatiche sono farina dei founder, Marco Decrescenzo, Tommaso Pozza e Federico e Marisio, i quali si sono accorti che noi milanesi parliamo in modo strano – sorride - o forse sono gli altri che non parlano la nostra lingua. Quanto a “giargiana”, deriva da giargianese, parola napoletana per indicare qualcuno che arriva da altri posti e che a Milano diventa colui che vive fuori dalla “circonvalla”. Nella prima immigrazione di Milano, chi arrivava da Cinisello, da Sesto o da Brusuglio come il sottoscritto, da quelli della città veniva definito “arius”, perché arrivava in centro in sella al “falchetto”, la Guzzi, con cui sfrecciava arioso nel vento».
Operazione pasoliniana quella del Milanese Imbruttito: rimescolare la lingua corrente con vecchie e nuovo espressioni dialettali.
«Il Porta è stato l’ultimo poeta dialettale, ma ormai il dialetto sopravvive solo nei bar di provincia, mentre a Milano è morto negli anni ’50. Io che sono figlio dei ’70 sono stato censurato: mia madre mi vietò di imparare il dialetto, in casa e fuori si doveva parlare solo in italiano. Il Milanese Imbruttito usa gli inglesismi, perché è figlio della cultura aziendale. Quando uno si stabilisce a Milano la prima domanda che gli fanno è: scusa di cosa ti occupi? Tradotto: cosa fai per campare? La seconda domanda è: a contatti come sei messo? Perché il milanese non ha amici, ma contatti».
La sua comicità denuncia i mali della società attuale che vive all’ombra della Madonnina.
«Milano è la mia città, non posso che amarla ma è diventata strana, a volte difficile da capire. È una metropoli che include più Milano, e questa si trasforma, si contamina e modifica anche il carattere di quelli che vengono a viverci ai quali da sempre offre grandi opportunità lavorative e fa tante promesse, che però ora non riesce più a mantenere. I costi delle case sono fuori mercato, lavori per pagare l’affitto e c’è una grossa quota di società che rischia di pagare per tutti e di finire in miseria. Il milanese non esiste più? Ma questo lo cantava già Walter Valdi più di cinquant’anni fa… (Lanzoni attacca Un milanese a Milano di Valdi : “Han trovato un milanese chì a Milan! Lù el cercava de parlà, ma nessuno lo capiva”)».
Bella voce, del resto nel suo repertorio c’è anche il cantautorato.
«Orazio Attanasio e Gianluca Beltrame sono i coautori delle mie canzoni. Due artisti totali che hanno unito le loro chitarre alla mia voce. Orazio è un calabrese a cui devo una quota della mia sensibilità da Magna Grecia, grazie al suo spirito di osservazione, lento, pacato, da uomo davanti al mare. Gianluca, come don Gino Rigoldi, mi ha riportato nelle periferie e dentro al terzo settore in cui lavora: ascolta la follia e il disagio di cui tutti parlano, mentre pochi fanno come lui, e per 9.50 euro l’ora. Con Orazio e Gianluca cantiamo l’allegria, ma anche la storia del cinquantenne che perde il lavoro e questa società spietata lo cancella in un amen o la bellezza della bicicletta che però nell’universo iperconnesso e virtuale in cui viviamo rimane la forza motrice che ti fa arrivare la cena d’asporto a casa. Ma come tanti servizi a domicilio derivano dallo sfruttamento degli ultimi che spesso degenera nello schiavismo moderno».
Siamo abituati al Germano Lanzoni che fa ridere, ma sappiamo che il comico in privato a volte piange ed è triste.
«Se è per questo mi è capitato di piangere anche in scena. Nel mio spettacolo teatrale “Dipendenze: cronache di massa” quando raccontavo la nascita delle mie due figlie mi commuovevo ripensando a quel momento in cui il dottore mi prese da parte e disse: “Lanzoni, si fermi un attimo…”. Ogni volta che qualcuno mi racconta la sua fermata davanti a un medico io rivivo quell’attimo atroce e di grande smarrimento. Ma una volta che l’hai superato, allora comprendi a pieno quanto sia prezioso il dono della vita che considero un’esperienza temporale, anzi la somma delle esperienze sotto un temporale».
Qual è stato il complimento più bello che ha ricevuto?
«Ne ricordo due che mi hanno inorgoglito e dato una carica incredibile. Il primo a Radio Popolare, dove ogni volta che incontravo Cochi Ponzoni lo salutavo con un buongiorno maestro. E lui una sera mi fa: “Germano basta darmi del maestro, ormai siamo colleghi”. L’altro, una telefonata di Massimo Boldi mentre con il morale sotto i tacchi viaggiavo con la mia Panda per andare a fare uno spettacolo a Legnano e lui dall’altro capo del cellulare mi dice: “Il Milanese Imbruttito non tutti lo possono fare, tu sì”. Ho lavorato nei due film con Claudio Bisio e conosco Diego Abatantuono, ma quando sono con loro mi sento come il giocatore di calcetto di Affori che stringe la mano a Shevchenko».
Tra le affinità elettive con quei palloni d’oro della comicità c’è anche la passione per il Milan di cui continua ad essere la voce allo stadio, lo speaker rossonero di San Siro.
«È un altro dono che dura da vent’anni. Ho iniziato nel 2002 e dopo due anni di gavetta, tra giovanili e eventi rossoneri, sono finito sul campo e ho debuttato con la prima squadra – sorride divertito -. L’atmosfera di San Siro è come quella del palco, adrenalina pura. Il mio idolo? Due: l’alieno Kakà, eleganza, tecnica e velocità in una sola persona, e poi Clarence Seedorf, un ambasciatore del calcio, capace di vincere 3 Champions con tre club diversi, Ajax, Real Madrid e Milan, come di portare l’intelligenza e l’umanità attraverso il calcio. Artisti e calciatori secondo me hanno una missione: ricordare a tutti che siamo strumenti del Creato e far vivere alla gente, al pubblico, il meglio di quella esperienza meravigliosa che è il nostro passaggio terreno».