Il personaggio. Lanza di Trabia, il “giallo” del Principe del pallone
Ogni volta che ho avuto il piacere di incontrare il decano degli allenatori, Cina Bonizzoni, il discorso inevitabilmente cadeva sulla sua breve, quanto memorabile, stagione (1952-’53) alla guida del Palermo e sul “fascino indiscreto” del presidente dei rosanero, il principe Raimondo Lanza di Trabia.
Il primo incontro tra Bonizzoni e il nobile patron siciliano avvenne a Milano, all’Hotel Gallia. Tra i vapori della vasca da bagno della sua suite, il Principe teneva le fila del calciomercato (ideato con Gipo Viani e il conte Rognoni) che, molto prima delle odierne sessioni continuate, definiva giustamente: «Il mercato delle vacche». Tra i mille aneddoti, Bonizzoni conservava vivo il ricordo della scena esilarante della firma del contratto, con il Principe che lo accolse completamente nudo. «Davanti al mio legittimo stupore il Principe quasi seccato mi disse: “Cosa vuole Bonizzoni? Che la riceva in frack forse?».
La risata divertita del buon Cina chiudeva l’album dei ricordi dedicati all’unico vero Principe del pallone italiano. Un album che si è riaperto tingendosi di giallo, grazie alla valigia di cuoio ritrovata dalla secondogenita (nata dopo Venturella) Raimonda Lanza di Trabia che in Mi toccherà ballare. L’ultimo principe di Trabia (Feltrinelli), a quattro mani con la figlia Ottavia Casagrande riscrive la biografia del padre Raimondo.
Il dandy, tarantolato da «un’irrefrenabile gioia di vivere», melanconicamente eternato da Domenico Modugno nella struggente “L’uomo in frack”, potrebbe non essersi suicidato. «Non si è ucciso», ha confessato, l’amato e agonistico fratello del Principe, Galvano, anch’egli nato da Giuseppe Lanza di Trabia che lo concepì nella relazione “scandalosa” con l’avvenente veneziana Madda Aldobrandini, maritata Papadopoli.
Per l’anagrafe quello era anche il cognome di Raimondo e Galvano, divisi (Galvano crescerà con la madre a Vittorio Veneto) per volere della Principessa, nonna Giulia, dopo la morte del figlio Giuseppe. «Se avessi seguito le regole sarei stato per sempre bastardo. Non avrei buttato piatti di vermeil e reliquie di santi tra i flutti...», scrive nelle sue lettere appassionate il giovane Raimondo che con l’ingresso ufficiale a Palazzo Butera divenne “u Principi” di Palermo. Sovrano assoluto dei bei salotti di una nobiltà decadente che lo annoiava. Soleva ripetere, «il miglior medico di Palermo è l’Alitalia». Un uomo in fuga, curioso di esplorare il mondo, specie quello stellato di Hollywood.
Divenne amico per la pelle con l’alcolico Errol Flynn e riuscì a stregare Rita Hayworth. La sua parentesi americana sarebbe stata degna di un romanzo di Truman Capote - che incrociò in un night con Marilyn Monroe - mentre la fine rientra tra i grandi “misteri” italiani. Sullo sfondo della sua morte aleggia lo spettro della mafia (la cessione della miniera di zolfo della Tallarita). Scenari petroliferi affini a quelli di Enrico Mattei che quel giorno fatale, il 30 novembre del 1954, alloggiava nel suo stesso Hotel, l’Eden di Roma. Un “Amministratore” che compare anche nelle pagine di un’altra fine misteriosa, quella di Pasolini, amante come il Principe del calcio di poesia.
Per questo, dal 1947 al ’54 fu a capo del Palermo e il sogno confessato all’amico Gianni Agnelli era quello di creare una Juventus del Sud e di vincere lo scudetto. Non ci riuscì. Si consolò con un “giocatore personale”, Martegani, che comprò solo per vederlo palleggiare nel giardino di Palazzo Butera e poi lasciarlo in eredità a sua moglie, l’attrice Olga Villi.
Raimonda Lanza di Trabia