Lirica. L'altro Strauss che conquista ancora Vienna
Richard Strauss
Dire Strauss a Vienna significa pensare subito alla famiglia di compositori che devono la loro indiscussa fama ai valzer e alle operette. Ma c’è un altro Strauss che lega il suo nome alla capitale asburgica. Non è austriaco come gli Strauss della Marcia di Radetzky o di Sul bel Danubio blu, ma tedesco. Eppure è ritenuto un simbolo della città che lo ha accolto e che è entrata nelle sue partiture. Lui è «Richard III», come Richard Strauss veniva chiamato dal direttore d’orchestra Hans von Bülow che, saltando a piè pari Richard II, considerava Wagner il primo Riccardo. La stella in marmo con la firma di Strauss “numero 3” brilla nella Musikmeile Wien, la camminata delle celebrità della musica classica che attraversa il cuore della metropoli. Il percorso delle star (e dei ricordi) passa anche davanti alla Wiener Staatsoper, l’Opera di Stato di cui Strauss è stato direttore. E uno dei suoi capolavori, La donna senz’ombra (“Die Frau ohne Schatten”), è stato scelto come titolo-icona per celebrare in queste settimane i 150 anni del teatro lirico inaugurato il 25 maggio 1869.
L’anniversario, secondo il volere del sovrintendente Dominique Meyer – fra i più papabili a ricoprire la stessa carica al Teatro alla Scala nel prossimo futuro – viene festeggiato con una produzione kolossal che vede sul podio una delle migliori bacchette contemporanee, Christian Thielemann, e sul palcoscenico un quintetto degno della Musikmeile: Camilla Nylund, Evelyn Herlitzius, Nina Stemme, Wolfgang Koch e Stephen Gould. Del resto quella che Strauss definisce l’«ultima opera romantica» e che i suoi adepti viennesi ritengono l’«opera per eccellenza» è il “primo regalo” alla città fatto come timoniere dell’Opera di Stato poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Infatti debutta alla Staatsoper cento anni fa, nell’ottobre 1919. Cinque mesi prima il compositore aveva firmato il contratto di direttore artistico, affiancato da quel da quel Franz Schalk che avrebbe condotto la prima della Donna e che cinque anni più tardi sarebbe stato la causa del divorzio fra Richard e il teatro nazionale.
L’edizione che rende omaggio alla Staatsoper è di gran lunga all’altezza della ricorrenza. La «partitura straordinariamente difficile» – come la descrive il suo autore – che esalta l’orchestra per raccontare il celestiale e l’umano, la magia e la natura, la bramosia e il perdono è una sfida che Thielemann affronta in modo sontuoso. Chi si aspetta una lettura intima potrebbe restare deluso. Perché l’approccio dell’ex assistente di Karajan è imponente. Per oltre quattro ore l’orchestra di 120 elementi vibra di tinte sgargianti, di passioni, di evocazioni sonore. È precisa, cristallina, maestosa. Varrebbe la pena anche solo ascoltare i sei interludi che costellano l’opera, tanto restano impressi nell’interpretazione di Thielemann. Il suo stile da grandeur fa breccia negli spettatori - teatro tutto esaurito fra maggio e giugno e si replica a ottobre -: pubblico in piedi alla fine e «bravo» urlato (in italiano) a ripetizione da platea e gallerie. Identico il calore per le tre protagoniste femminili. Del resta la favola a lieto fine messa in musica da Strauss è un tributo alla donna. Ed è un inno alla maternità, con i continui richiami ai «non nati» o il coro finale dei «bambini celesti» che verranno alla luce: e quando una donna non può donare la vita non ha l’ombra.
Nina Stemme è una vigorosa moglie del tintore, divorata dal desiderio di cedere la sua ombra-maternità per vane glorie mondane ma capace di pentirsi: con il suo timbro intenso, il soprano svedese regala una prova da incorniciare. Altrettanto efficace, con la sua voce tagliente come una spada d’acciaio, Camilla Nylund, un’imperatrice dolente e poi risoluta che sacrifica se stessa per il suo uomo e verrà premiata con il dono della fertilità. È un’ammaliante nutrice Evelyn Herlitzius: nonostante qualche problema, esalta il ruolo di 'Mefistofele femminile' che corrompe ma esce sconfitta. Accanto alle tre 'superbe' ci sono l’ottimo Wolfgang Koch che è un tormentato tintore Barak e il più che positivo Stephen Gould che nelle vesti dell’imperatore si staglia nella scena del falco, misteriosa presenza dell’intera fiaba. Scena che si svolge in una trincea della Grande guerra, fra soldati incoscienti, rimando al periodo in cui l’opera è stata composta. È uno dei pochi barlumi (insieme con la voliera iniziale) della regia firmata dal francese Vincent Huguet: senza idee, nulla più che didascalica, fin troppo statica. Da dimenticare.
A Vienna c’è un detto che riassume il legame fra l’ex capitale imperiale e il Meisternato a Monaco di Baviera nel 1864: «Tutto ciò che devi sapere per affrontare la vita puoi trovarlo nel libretto di Der Rosenkavalier ». Il Cavaliere della rosa, perla di Strauss, è la quintessenza dell’opera viennese, scintillante e commovente al tempo stesso, accompagnata da valzer, che sembra definire l’anima della città. Tuttavia il titolo non esordisce a Vienna ma a Dresda. Così come un’altra opera viennese del genio tedesco, Arabella. La capitale dell’Austria avrà l’onore di ospitare le prime della nuova versione di Arianna a Nasso nel 1916 e della Donna senz’ombra a cui si aggiunge il balletto Schlagobers nel 1924. Lo spirito viennese conquista Strauss già prima di guidare la Staatsoper. Anche per merito di Hugo von Hofmannsthal, il poeta asburgico che sarà uno dei suoi librettisti. In Jacquingasse, vicino all’attuale giardino botanico, l’eclettico bavarese vuole la sua villa che fa dire alla moglie Pauline: «Ora possiamo trasferirci nella nostra bellissima casa. E vivere nella e con la società viennese». Alla Biblioteca nazionale lascia la partitura autografa di Der Rosenkavalier e quella di Schlagobers. Nei suoi cinque anni alla Staatsoper incanta il pubblico, nonostante le malelingue parlino di cachet eccessivi. Quando Leopold Reichwein, uno dei suoi detrattori, entra nella buca per dirigere Parsifal, si scatena l’inferno nella sala con gli spettatori che gridano: «Strauss! Vogliamo Strauss».
L’«unico rivoluzionario» – secondo le parole di Arnold Schönberg – continuerà a frequentare la città anche dopo l’addio all’Opera di Stato nel 1924. E farà di Vienna il suo rifugio quando il regime nazista lo etichetterà come persona non gradita e le leggi razziali metteranno a rischio la vita dell’adorata nuora d’origine ebraica Alice Grab. Dal 1941 Richard si stabilisce di nuovo lungo le rive del Danubio, protetto da Baldur von Schirach, ex capo della Gioventù hitleriana e suo ammiratore. Grazie a questa intesa abbiamo le registrazioni in cui l’autore di Salome ed Elektra dirige le sue opere con la Wiener Philharmoniker. Sono gli anni in cui porta a termine il Capriccio o scrive la Fanfara per la banda di Vienna. Nel 1944 la città gli rende omaggio in grande stile per l’ottantesimo compleanno. E adesso accade lo stesso, con la sua Donna issata a vessillo del teatro sull’“anello” della metropoli.