Basket. Lakers, alla ricerca della gloria perduta
LeBron James, stella dei Los Angeles Lakers
Chiunque segua l’Nba sa che la canottiera gialloviola non potrà mai essere quella di una squadra tra tante. Questi colori sono entrati nella storia del basket, non solo di quello americano. Parliamo infatti dei Los Angeles Lakers, franchigia di cui hanno fatto parte autentiche leggende della palla a spicchi. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Da Kareem Abdul-Jabbar e il suo immortale gancio cielo a Magic Johnson e i suoi assist spettacolari. Fino alle schiacciate terrificanti di Shaquille O’Neal e i numeri stratosferici di Kobe Bryant. Una galleria di campioni sempre più lontana nel tempo visto il tunnel imboccato dai Lakers che da ormai sei anni non riescono neppure a raggiungere i playoff: l’astinenza più lunga della loro storia. Nemmeno l’arrivo l’anno scorso di LeBron James, “the king”, il re dell’Nba, è riuscito a invertire la rotta. Eppure questa estate ha portato in dono un fuoriclasse del calibro di Anthony Davis e tanto è bastato, alla vigilia di questa nuova stagione, per inserire i Lakers tra i grandi pretendenti alla vittoria finale. Un ruolo da favoriti che James e compagni devono condividere con i cugini Clippers, meno titolati, ma forti dell’approdo in squadra di Kawhi Leonard che l’anno scorso ha regalato il primo storico anello ai canadesi dei Toronto Raptors. Tutto lascia presagire che sarà un derby stellare che farà di Los Angeles la nuova capitale del basket a stelle e strisce. Più decisi a voltar pagina i Lakers che con Lebron e Davis hanno dichiarato in coro: «Dobbiamo riportare i Lakers dove meritano ma, ha puntualizzato James come mi ha insegnato mia madre, “non parlare ma fallo”».
Consapevole certo del blasone di una squadra protagonista dell’Nba sin dalla sua nascita. Settant’anni fa la Lega americana adottò questo nome e quell’anno il titolo lo vinsero proprio i Lakers che allora giocavano ancora a Minneapolis. Questo spiega anche il nome di Lakers, lacustri, visto che la capitale del Minnesota, è ricca di specchi d’acqua (diecimila circa) mentre i laghi non sono certo il paesaggio dominante di Los Angeles. Nel 1960 il club si trasferì nella Città degli Angeli e arrivarono altre leggende. Dopo il pioniere George Milkan, i talenti di Jerry West e Wilt Chamberlain, l’uomo degli eccessi in campo e fuori: a vent’anni dalla sua morte rimane l’eco delle sue imprese, lui che fu capace di segnare anche 100 punti in una partita, un record destinato a rimanere imbattuto con il solo Kobe Bryant che riuscì ad avvicinarsi (81 punti nel 2006). Chamberlain è tra i migliori marcatori di tutti i tempi dell’Nba: Jabbar con 38.387 punti guida questa classifica leggendaria in cui spiccano nei primi otto posti sei campionissimi che hanno indossato la divisa gialloviola. Ma che dire dello “ Showtime” il gioco spettacolare dei Lakers degli anni Ottanta: la tv statunitense ne ha appena fatto una serie per celebrare le indimenticabili prodezze di Kareem e Magic guidati in panchina da un’altra icona, coach Pat Riley. In anni più recenti sarebbero stati Shaq e Bryant a fissare il bottino a quota 16 anelli solo uno in meno della squadra più titolata, i Boston Celtics.
Dall’ultimo trionfo targato 2010 è cominciato però un lento e progressivo declino culminato nella disastrosa stagione scorsa, segnata anche dalle dimissioni da presidente da parte di Magic Johnson, un monumento della franchigia. Eppure nonostante abbia portato LeBron a Los Angeles e contribuito all’arrivo di Davis, anche lui ha dovuto gettare la spugna. L’ennesimo fallimento gialloviola e persino Magic ha perso il suo proverbiale sorriso. I Lakers ripartono di nuovo da zero e tutto ruoterà ancora una volta intorno a King James che all’alba della sua 17esima stagione Nba è ansioso di tornare sul trono. Tre anelli in carriera (due a Miami e uno a Cleveland), il prossimo 30 dicembre compirà 35 anni: lo scorso campionato i diversi infortuni sono sembrati i primi segni di cedimento del giocatore simbolo di una generazione. Ma chi lo conosce bene scommette sul suo orgoglio soprattutto dopo il più grande fiasco della sua carriera: non mancava i playoff dal 2005 e da otto anni di fila era protagonista delle Finals. Lui che è stato chiamato in California per risollevare le sorti dei Lakers dopo l’addio di Kobe sa bene che quest’anno non potrà più sbagliare. E del resto LeBron è un uomo che nella sua vita ha imparato molto dalle sconfitte.
Tutto merito del collegio cattolico di St.Vincent-St.Mary High School di Akron che ha cambiato l’esistenza di quel ragazzino cresciuto senza padre e senza un tetto per i continui lavori saltuari della madre. «Non riesco ad immaginare dove saremmo io e i miei amici se non fosse per gli allenatori e gli insegnanti che si sono presi cura di noi e le opportunità che abbiamo avuto». Un luogo in cui ha conosciuto sua moglie (dalla quale ha avuto tre figli) che gli è rimasto dentro e che l’ha spinto a realizzare la “I Promise School”, la scuola per i ragazzi svantaggiati della sua terra: «Non voglio vederli cadere nella trappola della droga come sarebbe potuto succedere a me. Io sono stato fortunato ad avere le persone giuste al mio fianco che mi hanno messo sulla retta via. Quando qualcuno crede in te, tutto cambia». Dalle amichevoli estive sono arrivati i primi incoraggianti segnali di svolta per i gialloviola con l’intesa tra i due nuovi fenomeni compagni di squadra, James e Davis, amici in campo e fuori, che fa già sognare l’ambiente. E durante la preaseason i Lakers hanno conosciuto da vicino la bufera mediatica tra Nba e Cina, con le autorità di Pechino indispettite dal tweet di sostegno del general manager degli Houston Rockets alle proteste di Hong Kong: tanti gli eventi annullati nel tour cinese di LeBron e i suoi. Ma con buona pace del regime illiberale cinese e degli accordi commerciali che sfumeranno, l’Nba è ormai un torneo globale, trasmesso in 212 nazioni e 42 lingue, con giocatori da tutto il mondo. Una manna anche per gli spettatori italiani dopo il rinnovo quadriennale dell’accordo tra Sky e la Nba: oltre al canale dedicato, saranno ancora oltre 300 le partite live trasmesse, di cui 48 anche in prima serata il sabato e la domenica.
Un successo continuo con una crescita di audience media del 21% su Sky nelle ultime due stagioni per una magia iniziata quasi quarant’anni fa. Era infatti il 31 gennaio del 1981 quando una piccola tv, Primarete Indipendente (Pin), mandò in onda la prima partita del campionato di pallacanestro più bello del mondo: Boston Celtics contro, manco a dirlo, Los Angeles Lakers. Erano gli anni del duello infinito tra Larry Bird e Magic Johnson prima dell’epopea del grande Michael Jordan. Nelle case degli italiani diventò sempre più familiare la voce di quell’americano dall’accento simpatico e le telecronache di Dan Peterson hanno contribuito al boom di un acronimo diventato sinonimo di spettacolo: “Enbiei”. Dalla corsa a comprare le canotte Usa all’imitazione delle giocate degli eroi del parquet, un fenomeno che ha finito per contagiare anche chi il basket lo guarda soltanto. Tutti, piccoli e grandi, pronti ancora se serve a puntare la sveglia in orari proibiti per tornare bambini, per continuare a sognare.