Il paradosso dei poveri. Sarebbe stato forse questo il titolo più adatto all’incontro su 'Gesù e i poveri' che ieri ha visto come protagonisti, guidati dallo storico Adriano Roccucci, della Comunità di Sant’Egidio, il vescovo di Oristano monsignor Ignazio Sanna, il biblista della Facoltà teologica della Catalogna Armand Puig Tarrech e Cariosa Kilcommons, delle Comunità dell’Arca fondate da Jean Vanier. Il paradosso della povertà che esclude dalla vita sociale e che tuttavia avvicina a Cristo. Paradosso dai mille volti, perché non è povero solo colui che ha poco o niente per sostentarsi, ma sono poveri tutti coloro ai quali manca qualcosa per vivere pienamente la loro umanità. Sono poveri coloro che si sentono o sono isolati, che sono esclusi dalla vita sociale o che si sentono esclusi dalla vita religiosa, hanno detto Puig Tarrech e monsignor Sanna, «come i divorziati e i separati che dormono nelle macchine o sono tornati a dormire nella casa dei vecchi genitori», sono poveri i peccatori così come gli ammalati, quelli del corpo e quelli dello spirito. Il pubblicano e la prostituta, il paralitico come l’indemoniato, per dirla con Gesù. Siamo poveri tutti noi che, ha sottolineato Kilcommons, «non siamo capaci di chinarci su coloro che hanno bisogno perché non riusciamo prima a vedere le nostre povertà, le nostre debolezze ». Gesù è venuto per tutti loro, anzi, per tutti noi. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati».
Per questo «i poveri sono tutti coloro che hanno l’umiltà di chiedere di essere guariti », ha ribadito Puig Tarrech. «Non è un caso che questa sia proprio la prima delle beatitudini: beati i poveri in spirito. E di loro Gesù dice che possiedono il Regno di Dio. Di nessun altro Gesù dice che il Regno gli appartiene». Ed ecco l’ennesimo paradosso reso possibile da Gesù: la povertà che si trasforma in ricchezza.
Un concetto che, ha spiegato Sanna, non ha niente di ideologico. Di per se stessa la povertà è un male che deve essere combattuto. Non ci si salva solo per il fatto di essere poveri, così come non ci si perde solo perché si è ricchi. Così come non si trasforma in ricchezza la povertà dello stoico o del seguace di religioni orientali che si fa povero per concentrarsi meglio su se stesso, evitando gli oneri e i pensieri della vita. La ricchezza della povertà è nell’umiltà dell’affidamento, nella generosità con cui si vive la propria condizione. A questo proposito Puig Tarrech ricorda che Gesù indica come esempio ai suoi discepoli la povera vedova che offre in elemosina tutto quello che ha. Tre soldi che, aggiunge il biblista, sembrano contrastare con i trecento denari di oli profumati versati da Maria sul capo di Gesù a Betania. «Un gesto che Gesù apprezza sommamente, ma che nei discepoli crea scandalo perché non riescono a comprenderne la gratuità», che si rivela tanto nel dare quanto nel ricevere. Nel libro di Tobia, annota Puig Tarrech, si invita a non distogliere lo sguardo dal povero perché in questo modo non si distoglierà mai lo sguardo da Dio. Nel Vangelo Gesù dice che «tutto quello che avrete fatto a questi fratelli più piccoli lo avrete fatto a me».
«Dio si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà», ha sottolineato monsignor Sanna citando Benedetto XVI. Per questo il diacono Lorenzo prima del martirio poteva dire che «il tesoro della Chiesa sono i poveri». Per questo il miracolo della moltiplicazione dei pani è l’unico che nei Vangeli si ripete sei volte: l’abbondanza viene dalla condivisione del poco con tanti. La grande ricchezza dei poveri è quella di farci sentire ricchi.
«L’ho scoperto – raccontato Kilcommons – lavorando con i disabili: Gesù ci invita a essere amici dei poveri perché attraverso la condivisione con loro ci viene rivelata la bellezza che è in noi».