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INTERVISTA. Lacroix: «All'amore serve la differenza»

Daniela Zappalà martedì 20 novembre 2012
​La questione antropologica divide la Francia a partire dalla bozza di legge socialista sulle nozze e adozioni omosessuali. A sinistra, c’è chi difende il “valore sociale” della riforma. Ma il dibattito intellettuale, promosso con vigore anche dalla Chiesa francese, ha rivelato rischi di portata inedita. A sottolinearli è pure il filosofo e teologo Xavier Lacroix, membro del Comitato consultivo francese d’etica e studioso di fama internazionale. Fra i suoi scritti tradotti in Italia, spicca In principio la differenza (Vita e Pensiero). È già in cantiere pure una traduzione di Il corpo ritrovato, il suo ultimo saggio.Professore, come giudica il clima attorno alla bozza di legge sempre più contestata?«Le Chiese non sono sole nel prendere posizione. Autori atei o di altre religioni si esprimono nello stesso senso. Gli argomenti delle Chiese non sono confessionali o teologici, ma antropologici e rivolti alla ragione. La Chiesa vuole partecipare al dibattito perché pensa che riguarda il bene umano». Ci sono aspetti finora sottovalutati?«Il dibattito è possibile anche in virtù di una grande confusione e di grandi incertezze attorno alla parola “matrimonio”. Per molti, oggi, il matrimonio è una celebrazione sociale dell’amore, come sosteneva un deputato francese. Si confonde “amore” e “matrimonio”. Ma il matrimonio non è solo questo, essendo pure un’istituzione, cioè una forma di vita definita dalla società. D’altra parte, di fatto, esso è in tutte le culture il fondamento di una famiglia. Dunque, si sta parlando della concezione della famiglia».C’è chi sottolinea il rischio di uno stravolgimento antropologico più che morale. Che ne pensa?«La misura riguarda apparentemente un numero molto ristretto di persone. Una minoranza di persone omosessuali chiedono questa riforma e dunque essa riguarda una minoranza nella minoranza. Nei Paesi che hanno istituzionalizzato le nozze omosessuali, l’1,5% dei matrimoni riguardano persone dello stesso sesso. Ma gli argomenti avanzati toccano tutti, poiché si sente dire sempre più spesso che la famiglia non poggia più sulla “biologia”, cioè sulla nascita, ma che poggerebbe invece sulla volontà e su un quadro giuridico. Penso che se la famiglia non poggiasse più sulla nascita, quest’ultima non avrebbe più accesso alla dimensione simbolica, mancando la relazione fra nascita e legame filiale. È questa relazione fra nascita e legame filiale che mi sembra la principale posta in gioco antropologica».La volontà prima che la nascita: siamo davanti a rivendicazioni di un tipo nuovo?«Gli argomenti avanzati e la filosofia che riflettono mi preoccupano ancor più delle decisioni politiche. Culturalmente, assistiamo alla convergenza di correnti di pensiero che attribuiscono una sorta di onnipotenza alla volontà, ai desideri o alla società. Personalmente, penso che la società e il desiderio non sono tutto, che riceviamo la vita e che essa è fondamentalmente un dono, in particolare attraverso il corpo. Per me, il corpo è importante, così come la nascita».Questi nuovi orizzonti filosofici preludono a una possibile uscita dalla tradizione umanistica?«Un certo pensiero dominante oppone natura e cultura. Così, vengono contrapposti corpo e cultura. Sono fra coloro che affermano che un pensiero equilibrato e completo coniuga natura e cultura, dunque il corpo e il linguaggio. Dobbiamo pensare la congiunzione fra il corpo e il linguaggio, e la famiglia si trova in questa congiunzione».Alcuni oppositori evocano la Convenzione internazionale sui diritti del bambino. A ragione?«Penso anch’io che dovremmo far riferimento molto di più a questa Convenzione del 1989 e soprattutto al suo articolo 7, che stipula che “il bambino ha il diritto, nella misura del possibile, di conoscere i suoi genitori e di essere educato da loro”. Tenendo in maggior considerazione i diritti del bambino interpretati in questo senso, si ragionerebbe in modo diverso. Ma il problema è che oggi il bambino è soprattutto percepito come un oggetto di diritto e dunque le coppie omosessuali affermano che hanno diritto al bambino come si potrebbe aver bisogno di un bene di consumo. In una trasmissione, un avvocato evocava persino un “mercato dei bambini”. Trovo ciò molto preoccupante".Siamo di fronte a tentativi di ridefinire i diritti dell’uomo?«Credo che esista una contraddizione fra la valorizzazione della persona, del soggetto, dei diritti dell’uomo, dell’individuo e la proposta di simili modelli familiari, poiché se si mettesse davvero la persona al centro, si penserebbe che è meglio offrire al bambino una situazione triangolare, cioè avere almeno un padre e una madre, poiché egli nasce dai corpi di un uomo e di una donna. Esiste un rapporto fra la persona e il corpo. Allora, per così dire, il padre è un uomo maschile e la madre è una donna femminile».Alcuni cristiani esprimono il proprio timore di essere bollati come “omofobi”. Come coniugare le proprie convinzioni e il dovere cristiano di accogliere l’altro?«Da una parte, affermando semplicemente che distinguiamo la questione dell’omosessualità da quella del matrimonio. Non giudichiamo l’orientamento omosessuale quando affermiamo che il matrimonio è un’istituzione che non dipende solo dalla volontà. In secondo luogo, mettendo molto più in evidenza tutto ciò che si fa all’interno della Chiesa per accogliere le persone omosessuali».