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Cinema. La regista Labaki: «Nessun bambino deve rimanere invisibile»

Angela Calvini, inviata a Lerici martedì 13 agosto 2019

I piccoli protagonisti, siriani rifugiati in Libano, di "Cafarnao - Caos e miracoli" di Nadine Labaki

Sulla linda facciata di una caratteristica casa ligure sul Golfo dei Poeti scorrono le immagini della periferia di Beirut dal pluripremiato film Cafarnao – Caos e miracoli della regista libanese Nadine Labaki: una ripresa aerea mostra dall’alto l’incosciente vitalità di una banda di ragazzini che gioca alla guerra con dei fucili di legno.

Ad avvolgere di malinconica tenerezza la scena, una melodia dal profumo mediorientale calibrata con misura dai violini dei giovanissimi musicisti dell’Orchestra Excellence di cui fanno parte anche sei ragazzini del Conservatorio di Beirut, diretti dal maestro Gianluca Marcianò. Sono stati loro, insieme alla talentuosa violinista ucraina Anastasiya Petryshak, il bandoneista Mario Stefano Pietrodarchi, la cantante siriana Racha Rizch e lo straordinario cantante etiope Degim Mekuryia, i protagonisti nella piazza di San Terenzo del toccante concerto di apertura del festival Suoni dal Golfo di Lerici (La Spezia) che il maestro Marcianò ha dedicato quest’anno al Libano, in scena sino al 24 agosto.

«Questo brano si chiama l’Occhio di Dio e accompagna la scena che immagina appunto come Dio guardi dall’alto la città, questo inferno da cui il piccolo protagonista del film riuscirà a salvarsi » spiega Khaled Mouzanar, ospite d’eccezione del concerto, produttore e compositore della colonna sonora di Cafarnao, nonché marito della regista. Un film verità dal successo planetario, vincitore del Premio della Giuria a Cannes l’anno scorso e candidato quest’anno agli Oscar come miglior film straniero. «Ho scritto queste musiche come una profezia biblica», aggiunge l’autore di una colonna sonora affascinante, ma mai sovrastante l’intento documentaristico della pellicola.

A filmare con lo smartphone gli applausi entusiasti al marito che ha accompagnato piano e voce il concerto, la moglie Nadine Labaki e le due figlie della coppia di dodici e due anni. «La vita delle mie figlie scorre in parallelo con quella di tanti altri bambini 'invisibili' meno fortunati di loro – aggiunge la regista –. Come madre mi domando: come è possibile girarsi dall’altra parte e continuare tranquillamente le nostre vite? Tutti abbiamo una responsabilità, e chi fa cinema ancora di più: credo nel potere di questa esperienza collettiva. Sarà che sono cresciuta durante la guerra, ma penso che se c’è qualcosa di sbagliato nel mondo bisogna impegnarsi per cambiarlo», aggiunge la regista, a cui invece è spettata sabato l’apertura degli incontri pubblici con gli artisti del festival Sea of stories coordinati dalla giornalista inglese Maya Jaggi.

Cinque anni di lavoro sono occorsi a Nadine Labaki per girare il film, uscito nelle nostre sale a marzo, nelle bidonville di Beirut non con attori ma con profughi reali (come il piccolo protagonista Zain, vero rifugiato siriano). Una storia straziante e realistica che parte dalla denuncia di un piccolo profugo siriano nei confronti dei suoi genitori, colpevoli di averlo messo al mondo senza essere in grado di prendersene cura. Un mondo crudele, fatto di soprusi dove gli adulti sfruttano i minori, non li fanno studiare, li vendono o li costringono a all’accattonaggio. Il tutto, nell’indifferenza totale di una Beirut che preferisce mostrare la sua faccia più sfavillante.

Una esperienza forte per la regista e il marito, che hanno sceneggiato insieme il film, i sei mesi passati a girare nello stesso quartiere povero di Beirut per raccontare una realtà di marginalità dal punto di vista dei bambini. «Abbiamo girato nel modo più realistico possibile la vita dei rifugiati, è stata un’esperienza sorprendente dove la storia di finzione si basava sulla realtà. Ad esempio la giovane etiope Rahil, che nel film viene arrestata perché non ha i documenti lasciando il figlioletto Yonas di un anno da solo, tre giorni dopo le riprese è stata davvero arrestata per questo motivo, come pure il padre del bimbo il quale è restato davvero da solo. Il set per qualche mese è stato come una bolla sicura per quei bambini che vivono in un costante pericolo, vengono abusati, violentati, sfruttati, picchiati».

L’esperienza è stata talmente profonda che, come ci anticipa il marito Khaled, «insieme a Nadine presto torneremo nello stesso quartiere povero di Beirut e inizieremo le riprese di un documentario per raccontare cosa è successo ai protagonisti del film. Per alcuni di loro la vita è migliorata: il piccolo protagonista Zain ora vive in Norvegia con la sua famiglia». Il problema, secondo la regista, è il fallimento del sistema politico e sociale del Libano di fronte alla accoglienza dei rifugiati. «Il Libano ospita un milione e mezzo di rifugiati, tanti quanto la nostra popolazione - spiega la regista - . Il problema è che a questo impatto si è sommata la crisi economica. Ogni gior- si vedono bambini di tre o quattro anni per strada che vendono fiori, chiedono l’elemosina, fanno lavori pesanti: sembrano non bambini. In più, non hanno i documenti perché i genitori non hanno i soldi per registrarli e vivono tutti in una condizione di migranti illegali. Molti bambini non sanno neanche quando sono nati e vivono sospesi ai margini della società». La denuncia della Labaki è chiara, e vale per tutti in questo momento storico: «Nessun bambino deve essere invisibile e ognuno ha il diritto di avere una vita decente. Ma il sistema ti rende impossibile esistere».

Cosa ne pensa, dunque, delle divisioni che agitano l’Europa e l’Italia di fronte al dramma dei migranti che attraversano il Mediterraneo? «Quando ho visto la foto del piccolo Alan Kurdi, mi sono domandata con grande pena: cosa direbbe questo bambino se potesse parlare? Questi viaggi via barca sono pericolosi e occorre che tutti cerchiamo una soluzione per aiutare questa gente», aggiunge.

Nadine Labaki parla anche dal punto di vista del Libano, che ha accolto milioni di migranti come anche la Turchia e la Giordania. «Oltre il 60% dei rifugiati che provengono da zone di guerra sono stati accolti dai Paesi limitrofi che hanno risentito dal punto di vista economico di questo impatto di massa. Tutti i Paesi del mondo hanno firmato la convenzione di Ginevra, quindi occorre che condividano tutti questa responsabilità. Certo, i problemi esistono, ma ricordiamoci che sono persone che non hanno scelto questa vita. Anche i media e i social devono raccontare in modo corretto la realtà». © RIPRODUZIONE RISERVATA A Suoni dal Golfo le musiche del film “Cafarnao” diretto dalla regista libanese e composte dal marito Khaled Mouzanar: «Ricordiamoci che i rifugiati non hanno scelto questa vita» I piccoli protagonisti, siriani rifugiati in Libano, di “Cafarnao – Caos e miracoli” di Nadine Labaki