Calcio. La voce del Pupone: arrivederci Roma
Quando Francesco Totti saluta e se ne va, tutta Roma si ferma, ma ieri addirittura tutta l’Italia si è bloccata, sintonizzata a reti unificate su Rai 2, Sky e Mediaset, per ascoltare la voce del “Pupone”. L’ottavo re di Roma, nel suo ultimo giorno da dirigente del club di James Pallotta non ha parlato solo alla capitale ma al Paese intero. Lo ha fatto come un premier del pallone italico, da ex campione del mondo del 2006, ma prima di tutto da eterno “Capitano” coraggioso che ci mette la faccia e dice sempre le cose come stanno. L’ultima conferenza da direttore tecnico - senza poteri effettivi - non è stata una barzelletta gustosa delle sue. È un addio che fa star male (tutti i tifosi italiani), anche più di quello che diede al calcio, il 27 maggio 2017. «Avrei preferito morire piuttosto che lasciare la Roma», ha attaccato con il groppo in gola un Totti amareggiatissimo. Dopo trent’anni di fedeltà assoluta al “giallorosso” è costretto alla resa dinanzi a questi strani americani a Roma.
Da uomo esemplare di sport non poteva che arringare il popolo dal Palazzo del Coni, e dal Salone d’Onore ha tenuto a precisare il perchè di questo divorzio necessario dalla società di mister Pallotta, ma non dal suo unico grande amore, la Roma. «Ho mandato una mail alle 12.41 del 17 giugno per dire che mi dimettevo... Lo faccio per il bene di tutti, meglio che mi stacco io. Tanti dirigenti hanno detto che sono “troppo ingombrante” per questa società, però non pensavo che un giorno avrei potuto dire: “Ciao Roma”. Speravo che questo giorno non arrivasse mai...». Un triste refrain, «speravo che questo giorno non arrivasse mai», era stato anche l’attacco del discorso finale di due anni fa pronunciato al cospetto della sua famiglia riunita in mezzo al campo e agli 80mila cuori giallorossi affranti dell’Olimpico. Totti è nato per divertire e far sorridere la sua gente e non per farla piangere e star male: «Non farò mai del male alla Roma. Per me la Roma viene prima di tutto. E per il bene di tutti è meglio se mi stacco io...» ribadisce.
Uno strappo lacerante ma inevitabile, perché all’interno del fantomatico staff decisionale la voce del “Pupone” è rimasta sempre inascoltata. «Non ho mai avuta la possibilità operativa di poter lavorare nell’area tecnica della Roma. Non avevo mai chiesto soldi, ma penso di avere le competenze per fare il direttore tecnico. Invece hanno fatto l’allenatore (Fonseca) e il ds (Petrachi) senza neppure chiamarmi... Il pensiero fisso di alcune persone dall’inizio era uno: “Via i romani dalla Roma”. Gli americani hanno cercato di metterci da parte e ci sono riusciti». L’As Roma dal suo sito smentisce questo j’accuse alla cacio e pepe di Totti che ha subito troppo negli ultimi tempi. A cominciare dai falsi scoop sulla presunta “congiura” (a colpi di mail segrete) nei suoi confronti, ordita niente meno che dal fratellastro, il “Capitan Futuro”, Daniele De Rossi. La Roma di oggi è una società senza più un’anima romana. Un club gestito - come tutti del resto - da uominini-marketing che guardano solo all’indice Nasdaq e che non hanno mai stabilito un rapporto empatico con la “Bandiera Francesco”.
Eppure Totti di calcio ne sa più, o almeno quanto, il direttore generale Silvio Baldini, l’unico che avrebbe potuto farlo diventare protagonista anche all’interno dell’area tecnica. E invece... «Baldini? Mai stato rapporto con lui e mai ci sarà. Avrò fatto dieci riunioni in due anni. Adesso, anche se andasse via Baldini non tornerei, se avessero voluto, l’avrebbero potuto fare prima. Io accetto la loro decisione e la rispetto, però il presidente Pallotta deve cambiare rotta. Se io avessi Totti e De Rossi gli darei in mano tutto, Pallotta invece si circonda di persone sbagliate e continua a farlo. Ma se io sbagliassi come lui, e da 8 anni a questa parte, beh qualche domanda me la farei». Quasi un decennio di Roma made in Usa con zero titoli e pochissime soddisfazioni. Vetta massima raggiunta dai giallorossi in campo, la semifinale di Champions dello scorso anno con il Liverpool: finale sfumata di un un niente dopo una spettacolare rimonta (dal 5-2 di Anfield al 4-2 dell’Olimpico) della Roma di Eusebio Di Francesco. Altra vittima sacrificale di questa Roma americana eppure poco rock, che ormai danza solo sulle note del “valzer degli addii”.
Totti se ne va sconsolato perchè avrebbe ancora potuto far cambiare genere e ritmo alla sua Roma: aveva l’uomo giusto per la rinascita, Antonio Conte. In virtù del legame tra ex reduci azzurri e figliocci di Marcello Lippi, Conte poteva arrivare a Trigoria solo se Totti fosse rimasto al suo posto. «L’unico allenatore che ho chiamato di persona è stato Antonio Conte. Gli altri nomi che ho letto in questi giorni, da Gattuso a Gasperini, da De Zerbi a Mihajlovic, sono pura fantasia, anzi fantascienza », replica Totti che sulla questione tecnica aveva le idee molto chiare. Così come l’ha sempre avute nei confronti del pubblico. Massimo rispetto quello del tribuno di Porta Metronia per il popolo romanista che adesso minaccia di disertare l’Olimpico: «Una Roma senza il Capitano non ha più senso», dicono in coro. A questi cuori dispersi ed eternamente innamorati, il “Pupone” promette alla Califano «non escludo il ritorno, ma con un’altra società». Magari una Roma con al vertice l’attuale n.1 del Coni Giovanni Malagò. «Se Malagò diventasse presidente, magari mi darebbe un po’ più di potere, non è che ne voglio poi molto...». Totti, come è stato per Antognoni alla Fiorentina e per Paolo Maldini al Milan, da oggi comincia il suo “esilio” forzato dalla Roma. «Non resterò disoccupato, ho già tante offerte », dice il “Pupone” che rinuncia ai 2 milioni e mezzo l’anno di Pallotta. Lo vogliono a Dubai, come testimonial Expo 2020, lo cercano diversi club italiani e stranieri, e per molti in Figc sarebbe il sostituto ideale di Lele Oriali, come team manager della Nazionale. Ma Totti ha un solo unico grande amore e finchè non tornerà a casa, a Trigoria, alla Roma niente sarà più lo stesso.