Storie. La vittoria dei migranti delle nevi: dall'Africa alle Olimpiadi
La sciatrice keniota Sabrina Simader
Ogni atleta che partecipa alle Olimpiadi è anche un po’ migrante. Perché ci arriva dopo un lungo viaggio che lo porterà a migliorare se stesso. Ma alle Olimpiadi ci sono atleti più migranti di altri, che provengono dai Paesi più poveri. A Pyeongchang se ne contano diversi. È l’Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni, ad accendere i riflettori su questi atleti un po’ più speciali. Come Sabrina Simader, l’atleta nata in Kenya 18 anni fa e classificatasi 18esima nel SuperG femminile. Sabrina è la prima atleta keniota a partecipare nella disciplina olimpica invernale con sci ai piedi e testa in giù zigzagando tra le porte. Ma nelle sue vene scorre molto sangue austriaco. Sabrina vive a Liezen, in Austria, con la madre da quando aveva tre anni. Qui ha scoperto la sua passione per la neve e lo sci. Il freddo le piace e a scuola, fra le Alpi, si mette subito in mostra: a 12 anni è campionessa della Stiria in Super G, Slalom Gigante e Combinata. Oggi si allena con la nazionale austriaca.
Sabrina è la prima sciatrice keniota ad affrontare la velocità sugli sci in un’Olimpiade invernale. Con la sua tuta tutta leopardata si è classificata 38esima (su 44) nella gara, in cui la ceca Ledecka – due volte iridata nello snowboard – è arrivata dal nulla a battere la campionessa in carica Anna Veith (austriaca) per un centesimo di secondo. Anche Mathilde-Amivi Petitjean ha una storia simile. Il suo soprannome nel Togo, dove è nata 24 anni fa, è «la piccola regina delle nevi». Mathilde si trasferisce in Canada all’età di quattro anni. La sua prestazione in Corea è stata deludente (83esima su 90 atlete nello sprint – ha tagliato il traguardo a 32 minuti dalla prima – e 59esima su 68 atlete nel fondo). Ma non si abbatte. Ha la grinta di chi può andare molto lontano (anche se geograficamente lo ha già fatto) e non si rassegna. L’unico ostacolo alla sua preparazione rimangono i mezzi finanziari. «Il comitato olimpico nazionale togolese mi supporta moralmente, ma ho bisogno di più sostegno finanziario» ammette. L’altro problema è che si allena da sola.
Poi ci sono le tre atlete nigeriane, Ngozi Onmuwere, Seun Adigun, Akuoma Omeoga, il primo team africano a competere nel bob femminile. Tre figlie di genitori emigrati negli Stati Uniti, in Texas, Illinois e Minnesota. Tutte e tre iniziano la carriera sportiva nell’atletica leggera. Tutte e tre insieme sono diventate la prima delegazione della Nigeria a competere ai Giochi olimpici invernali. A Pyeongchang c’erano una cinquantina di fan, fra parenti e amici a sventolare le bandiere bianche e verdi della Nigeria, al cancelletto di partenza. Con un tempo lontanissimo dalla medaglia d’oro (20esime su 20 squadre) le tre ragazze hanno già fatto storia. L’Eritrea è l’altra nazione africana presente per la prima volta ai Giochi olimpici invernali, insieme al Ghana. La delegazione di quest’ultimo Paese è composta da un solo atleta: Akwasi Frimpong. È lui l’africano che ha portato il Ghana nella disciplina dello skeleton. Akwasi ha 31 anni e si è trasferito in Olanda, con la madre, quando ne aveva 8. Immigrato “irregolare” per anni, ha sempre avuto il sogno di diventare un campione sportivo. Prima l’atletica, poi il bob quasi per caso e infine lo skeleton. Nel 2008 ha ottenuto la cittadinanza olandese. A Pyeongchang è arrivato 30esimo. La sua storia di immigrato ricorda molto quelle di tanti. «Parlando alla Cnn delle molte sfide che ha dovuto superare nel suo viaggio verso le Olimpiadi – racconta l’Oim – Akwasi ci tiene sempre a sottolineare: “Spero di poter motivare i bambini del Ghana a inseguire i loro sogni”».