Scrivere per esorcizzare. Per mettere in fila i pensieri. Per dare una cadenza, un respiro, un senso al dolore e alla paura. Succede spesso ai giornalisti. Non per voglia di dare spettacolo di sé, ma perché scrivere è il modo migliore per sottolineare ciò che ci accade, filtrando emozioni e sussulti attraverso la parola scritta.
Il tempo che rimane (Edizioni Interlinea, pagine 74, euro 12, presentato sabato al Salone del libro, stand P80, Pad 3, ore 16) non è né il primo né l’ultimo libro del genere. Ma per noi di
Avvenire - giornalisti, amministrativi e lettori - è un libro speciale. Necessario. Che ferma su carta rilegata un grande regalo che ci ha fatto Mirella Poggialini, per anni critica televisiva del nostro quotidiano, scomparsa il 9 novembre 2014. Un volto e una voce cari anche ai telespettatori di
Tv2000 e a agli ascoltatori di
Radio InBlu.Lei che per una vita ha combattuto contro le malattie e abitato un numero scandaloso di letti di ospedale, nella primavera del 2004 affrontò una delle sfide più difficili: i medici le dissero che aveva un tumore in stadio avanzato e che doveva prepararsi al peggio. Per prima cosa regalò una parte molto importante della sua sterminata biblioteca, poi chiese a Dino Boffo, allora direttore di
Avvenire, di permetterle di raccontare sul giornale il diario della sua malattia con uno pseudonimo. Mirella non voleva mettersi in mostra ma mettere la sua sensibilità e la sua incredibile capacità di scrittura e di analisi (era critica televisiva, d’arte e cinematografica) al servizio dei lettori. Così, dal 24 giugno al 2 settembre 2004, apparve su
Avvenire a cadenza bisettimanale la rubrica
La strada, firmata da una generica Francesca.Ogni volta erano una manciata di righe. Ma così dense da fare subito breccia in tantissimi lettori. Per i pochi che in redazione sapevano, leggerle era un’emozione ancora più forte. Era come starle accanto anche nei momenti di solitudine, quelli dove il dolore, la paura ma anche la fede si fanno più forti.«Sapere contro cosa devo lottare mi dà un’energia che non sapevo di avere» scrisse nella prima rubrica. Mirella Poggialini era diretta e non amava chi sprecava le parole. Raccontò del suo rapporto con la morte, del dolore, della vita in ospedale, di come una malattia di questo tipo cambia il rapporto con gli altri. Del suo rapporto con Dio e dell’importanza della preghiera.Nel suo
Congedo scrisse: «Accettare il male, nel suo evolversi lento o veloce, lasciato nelle mani di Dio, significa cambiare, diventare "di più", in un mutamento che è un allargarsi di orizzonti». E ancora: «Sembra un paradosso, eppure a volte il malato sente che la malattia gli ha dato qualcosa di buono».Il Signore le regalò altri dieci anni di vita, di scrittura, di affetto e di curiosità. E a tutti noi tanti altri suoi scritti precisi e profondi. Di più: necessari. Come questi.