A 50 dalla morte. Il nipote Reyes: «Neruda, un uomo di famiglia»
Pablo Neruda
Il 23 settembre 1973, pochi giorni dopo il golpe di Pinochet e la morte di Allende, in una clinica di Santiago del Cile, moriva a sessantanove anni Ricardo Eliècer Neftalì Reyes Basoalto alias Pablo Neruda - poeta, diplomatico, attivista politico, fra i grandi autori del ‘900. Ne parliamo con Bernardo Reyes, settantadue anni, pronipote di Neruda, poeta anch’egli e curatore dei Cuadernos de Temuco (le prime poesie nerudiane, in parte inedite, apparse dopo la morte), ma soprattutto biografo del Nobel per la letteratura, del quale ha ricostruito vicende attraverso libri come Neruda: retrato de familia; El enigma de Malva Marina: la hija de Pablo Neruda; El guardaespaldas de Fidel.. .
Bernardo sgombriamo subito il campo: la sua parentela con Neruda?
«Mio nonno paterno, Rodolfo Reyes, era il fratello maggiore di Neruda. Non ebbe però il ruolo di primogenito perché nato da una relazione casuale di suo padre, don José del Carmen Reyes Morales, con Trinidad Candia Marvede, prima della nascita di Neruda. Mio nonno aveva 13 anni quando il bisnonno don José sposò in seconde nozze Trinidad, dopo che era morta, nel darlo alla luce, la madre di Neruda, Rosa Neftalí Basoalto Opazo. Trinidad, che per ipocriti pregiudizi non aveva allevato il primo figlio, quando arrivò Neruda si volse interamente a lui, che in seguito la chiamò “mamamadre”. Poi si unì una terza sorellastra: mia zia Laura Reyes Candia. In famiglia, insomma, ci fu un triangolo amoroso. Due madri appaiono registrate nella genealogia dei Reyes. E con le mie ricerche ne ho aggiunta una mai apparsa in documenti. Aurelia Tolrá, madre biologica di Laura Reyes. Un’atmosfera che aiuta a capire Neruda».
Bernardo Reyes - -
Che ricordi ha di lui?
«A casa dei miei era accolto come nella sua di Temuco. Inoltre era vicina a quella dov’era cresciuto. Era ricevuto con affetto dagli adulti e con curiosità dai più piccoli. Spesso allegro, qualche volta giocava con noi bambini che facevamo i fantasmi coprendoci di lenzuola. Nei ritorni dai viaggi trovava sempre tempo per noi. Crescendo rammento che con lui si parlava di tutto fuorché di letteratura, oggetto di scarsa predilezione in famiglia».
Cosa comporta per lei la sua figura?
«Bella domanda. Il 21 luglio scorso ho festeggiato con mia moglie Marycruz 50 anni di matrimonio. 50 anni fa, lo stesso giorno, ricevemmo un pacco da Isla Negra con un libro di pregio fuori commercio: 20 poesie d’amore, con una bellissima dedica del poeta, accompagnata da disegni del pittore Mario Toral, e firmata anche dalle mie zie, sua sorella Laura e Matilde Urrutia, la terza moglie. Nel pacco c’era pure l’invito a trascorrere insieme il capodanno a Valparaíso. Purtroppo poco dopo morì. E in clinica lo raggiunse l’eco di cosa accadeva nel Paese. Presto i militari controllarono anche le università. Marycruz, benché incinta, fu fatta uscire dall’ateneo sotto la minaccia di una mitragliatrice. Eravamo entrambi universitari. Abbiamo perso compagni e docenti. Essere parenti di Neruda per noi ha rappresentato la fine brutale di un modo di vivere segnato dalla nostra tranquillità provinciale a Temuco, che ha lasciato spazio a una scia di torturati, morti, scomparsi».
Restiamo a 50 anni fa quando la morte di Neruda quasi coincise con la fine del Cile democratico: cosa ricorda?
«Sì, il suo funerale fu trasformato nel primo atto della resistenza cilena. Da Temuco, la nostra città, tremendamente di destra, assistemmo improvvisamente alla scomparsa di ogni genere e rifornimento… Ma bisogna ricordare in proposito i documenti della Cia, in cui si afferma chiaramente che Nixon prima aveva finanziato lo sciopero dei camionisti e senza loro nel nostro Paese, una striscia di terra lunga e stretta, niente aveva potuto circolare… Per non parlare di giornali come “El Mercurio” con le sue vergognose montature per distruggere il governo del presidente. Mio padre aveva una panetteria e un’impresa di lavorazione alimentare, spesso, con pretesti puerili, camionette cariche di soldati vi facevano irruzione mentre la gente lavorava. Era tutto assurdo. Solo i suoi nipoti Raúl e Lidia – i miei genitori – riuscirono a recarsi al funerale».
I funerali di Neruda - -
A proposito della morte, a intermittenza tornano le tesi dell’avvelenamento…
«Credo che il mio libro El guardaespaldas de Fidel abbia smantellato questo falso assassinio. Poche settimane fa poi è mancato anche questo presunto testimone di un omicidio immaginario…: Manuel Araya secondo me era un mitomane, ma è stato manovrato da altri al fine di stabilire quello che giuridicamente chiamano “ragionevole dubbio”. In realtà la questione è un po’ vergognosa anche per il Paese. Però dato che faccio parte della querelle, posso confermare, documenti alla mano, che uno degli ideatori del falso, Mario Casasus, morto l’anno scorso, mi ha chiesto perdono in forma scritta. E lo stesso ha fatto con il ministro Mario Carroza».
Nei suoi saggi ha apportato elementi per rileggere la vita di Neruda, pubblica, ma anche privata: penso al caso della figlia Malva, idrocefala, morta piccola, di fatto abbandonata, no? Secondo lei si conosce ormai tutto di Pablo Neruda?
«Vedete la storia di Malva è tragica, non c’è dubbio. Tuttavia, nel saggio che ho scritto su questa bambina, che alla fine è stata mia zia, penso di aver dimostrato che non fu proprio un abbandono. C’erano situazioni diverse e concrete, umane e politiche, e l’Europa dilaniata dalla guerra. Insomma una vicenda più complessa di come appare, con aspetti da chiarire. E scavando anche nella la vita della madre di Malva, la prima moglie di Neruda, María Antonia Hagenaar, che il presidente Gabriel González Videla, aveva fatto venire in Cile come testimone in un processo per un’accusa di bigamia contro Neruda, si scopre che era l’amante di un noto intellettuale cileno: non proprio una donna sola e abbandonata, ma una persona ben integrata, con una grande vita sociale. Dalle mie ricerche sono nati libri piuttosto romanzati a scapito della verità».
Volendo visitare il Cile, sulle orme di Neruda, quale itinerario consiglia per capirne lo spirito e quale libro bisognerebbe portare?
«Vi rispondo citando una frase che mi ha detto Dario Puccini, l’ispanista che ha tradotto quasi tutto Neruda in italiano. Stavamo insieme io e Marycruz, lui e sua moglie, Stefania Piccinato, a Puerto Saïl, poi a Puerto Saavedra, davanti all’Oceano Pacifico. Disse; “Qui c’è la radice di tutta la poesia di Neruda, appena torno in Italia dicò al mio amico Fellini di lavorarci sopra”. Lo ricordo perché il regista morì proprio poco dopo il suo ritorno. In questo senso credo che sarebbe essenziale avere nel bagaglio Confesso che ho vissuto».
E a suo giudizio qual è il capolavoro assoluto?
«Domanda difficile! Da un lato, c’è l’epica del Canto General, lascito importantissimo, ma non va dimenticata la grande poesia d’amore, nata a Temuco, a Puerto Saavedra. E aggiungo una cosa riferitami dal mio amico Giuseppe Bellini: lui teorizzava che 20 poesie d’amore e una parte di Residenza nella Terra fossero nate da un fortissimo impulso creativo. Tanti studiosi non concordano, ma, dopo decenni, credo avesse ragione. Il primo volume di quest’opera, del ’33, è un capolavoro: di Neruda e di tutta la letteratura contemporanea».
Per l’anniversario si vedono riedizioni di Neruda e nuovi saggi. Lei ha appena pubblicato Neruda:Memoria en imágenes, con fotografie e documenti sulla sua vita. Ci sarà un’edizione italiana?
«Presto uscirà una versione in inglese. Ci sono passaggi editoriali un po’ lunghi, e oggi in Europa non si fanno tirature troppo alte… Per la versione italiana servirebbe un bravo traduttore, disposto anche a farci pagare poco…»