Vale la pena. Così, in poche parole, potrebbe essere definito il risultato finale de
La última cima, il film di Juan Manuel Cotelo presentato a Roma presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Uscito in Spagna in sole tre sale lo scorso 4 giugno, il film sulla vita di un sacerdote «normale» ha attirato così tanto gli spettatori che nella seconda settimana la casa di distribuzione ha aumentato le copie in circolazione, fino a raggiungere il numero di 73 cinema e conquistare il terzo posto nel box office come numero di spettatori per copia. Un successo straordinario (quasi 200mila euro incassati in data 20 giugno) per un documentario che racconta attraverso testimonianze e parole la vita di don Pablo Domínguez, un sacerdote di Madrid morto nel 2009, all’età di 42 anni, mentre scalava una montagna. E così il lavoro di Juan Manuel Cotelo, con un passato di regista televisivo, attore e documentarista, si trasforma in un vero e proprio film lontano dallo stile dell’inchiesta o del puro diario.
Juan Manuel Cotelo, come nasce il progetto?Un mio amico mi aveva parlato di don Pablo, ma io mi ero sempre rifiutato di conoscerlo. Per me i sacerdoti sono come i medici. Data la sua insistenza decisi di filmare una sua conferenza a Madrid. Due giorni dopo scoprii, tramite il telegiornale, che era morto mentre scalava la montagna del Moncayo e che più di 3000 persone avevano partecipato al suo funerale. Mi venne in mente di regalare alla famiglia le immagini che avevo filmato, allegando un’intervista ad un suo amico. Le parole dell’intervistato mi lasciarono, però, perplesso e iniziai a intervistare tante altre persone per capire chi fosse davvero don Pablo. In poco tempo avevo tra le mani un materiale bellissimo: storie di donne e uomini che attraverso le parole e i gesti di don Pablo si erano avvicinati a Dio, ritrovando un senso nel dolore e recuperando la gioia di vivere.
Qual è la chiave del successo del film? Lo spettatore esce contento dal cinema perché
La última cima racconta l’allegria di un sacerdote normale e semplice, che non è stato un missionario né un esorcista, ma un uomo che è arrivato al cuore della gente e che ha spinto a vivere una vita piena di senso. Una persona che si è messa al servizio di chi stava al suo fianco, capace di non inserire mai il proprio io nelle conversazioni.
Come avete trasformato il materiale in un film?Volevamo fare una pellicola che fosse come don Pablo: lui, dottore in Filosofia e Teologia che parlava quattro lingue, era un intellettuale che quando predicava era compreso da tutti, bambini e adulti. Oltre alle testimonianze di parenti e amici abbiamo inserito nel film interviste spontanee in mezzo alle vie di Madrid per capire cosa davvero pensa la gente del sacerdozio. Abbiamo posto loro tre semplici domande: "Che cos’è un sacerdote? Quanti minuti della tua vita hai dedicato a parlare con un prete? Ti piacerebbe conoscere un buon sacerdote?". La sorpresa è stata che in Spagna 7 persone su 10 apprezzano la figura del prete. A volte pensiamo che i contenuti dei giornali riflettano la società. Le nostre interviste spontanee nella Spagna di Zapatero dimostrano che non è vero.