Agorà

Il film. La scena col vescovo e San Gennaro: la sterile estetica di “Parthenope”

Edoardo Castagna e Viviana Daloiso martedì 5 novembre 2024

Il regista Paolo Sorrentino

Sarà perché la voce si sparge, e perché anche questo weekend il film Parthenope di Paolo Sorrentino s'è confermato prima pellicola italiana al box office con un incasso di quasi 2 milioni di euro e oltre 260mila spettatori. Oppure perché alla circolazione delle prime immagini sui social s'è accompagnata la comparsa di una cascata di gadget anche per le vie di Napoli, la città dove la storia è ambientata e a cui il film è dedicato: a San Gregorio Armeno Marco Ferrigno ha già fatto la statuina di Greta Cool, la diva in declino interpretata da Luisa Ranieri che, in una scena destinata a diventare virale, si lancia in una violenta invettiva contro i napoletani che definisce «arretrati e piagnucolosi», vanno a ruba anche le magliette e il celebre maestro pizzaiolo Enzo Coccia ha sfornato un nuova pizza in tema cinema chiamata proprio Parthenope. Fatto sta che su Parthenope s'è acceso anche un vivace dibattito, in cui la voce dei cattolici sta iniziando a farsi sentire con forza: perché nel film, come abbiamo già scritto in occasione della prima recensione fatta dalla nostra Alessandra De Luca sul film a Cannes e a cui vi rimandiamo per leggerne la trama, c'è una scena di cattivo gusto in cui la protagonista seduce il vescovo di Napoli vestita solo dei gioielli del tesoro di San Gennaro.

«Il film presenta una visione della religione troppo personale e distante dalla sensibilità comune» rileva per esempio Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, componente della Deputazione di San Gennaro, proprietaria della Cappella del Tesoro del Santo, che custodisce la tradizione del culto del patrono della città: «Sorrentino sembra ignorare la profondità spirituale che permea la nostra città, scegliendo un approccio incomprensibile per chi vive questi simboli con devozione». Anche a Stefania Martuscelli, ricercatrice del Cnr e figlia di un altro componente della Deputazione di San Gennaro, la pellicola proprio non va giù: ha inviato una lettera aperta ai media, rivolgendosi idealmente alla figura di Partenope, in cui si legge «Ti scrivo a nome di Partenope, ma non di quella di Paolo Sorrentino, bensì della Partenope millenaria e sempre giovane, sirena nata dalle acque del nostro incantevole golfo». Per la studiosa, il regista descrive la Napoli del film come «sfocata e tormentata» e priva di rispetto verso la storia e le tradizioni che sono «l'anima della città»: «Il simbolo di San Gennaro viene profanato - aggiunge - in un modo che giudico offensivo per i credenti e per chi sente Napoli come parte di sé». Dello stesso avviso anche il teologo Nicola Bux, che evidenzia «una grave carenza di comprensione della dimensione soprannaturale e della sua influenza sulla realtà. Sorrentino - afferma - sembra sacrificare la dimensione trascendente per cercare di compiacere il pubblico, ma così facendo svuota il film di profondità».

Ma da tempo Sorrentino ha scoperto il fascino, per lui puramente estetico, di paramenti ecclesiastici e tesori della nostra ricca tradizione religiosa. Lo si era visto marcatamente, se non smaccatamente, nella serie The New Pope e, più ancora, nel seguito The Young Pope: abiti svolazzanti, colori abbaglianti, ritualità presentate in modo insistito ma mai approfondite né tantomeno, sembra, comprese. Il regista acclamato per La grande bellezza, riuscito affresco di una certa Roma intellettualoide premiato con l’Oscar al miglior film straniero dieci anni fa, o per le ricostruzioni storico-psicologiche come Il divo, sempre in sodalizio con Toni Servillo, nel rosso dei cardinali, nel bianco dei papi, nelle mille sgargianti tinte degli abiti degli ordini religiosi e nei luccichii degli ori degli arredi sacri trova materia prima per le sue lunghe sequenze più o meno coerenti con lo svolgimento delle trame.

L’impressione è che siano immagini scelte per l’immagine, che si tratti di suore che giocano a tennis o di cardinali che fumano il sigaro; netta predilezione per i movimenti corali, dove il colore e il gesto appaiono come movimenti coreografici a se stanti, e per una certa morbosità: come quella, di pessimo gusto, che mostra la protagonista di Parthenope vestita dei soli gioielli del tesoro di San Gennaro per sedurre un vescovo. «Figura faustiana», la definisce il regista. Ma nelle sue ultime opere la profondità goethiana sembra ben fuori dalla sua portata.