Fare l’esegeta del pensiero di altri è sempre impresa rischiosa, tanto più se si tratta di interpretare il senso di un’enciclica “innovativa” come
Laudato si’. Gli autorevoli scienziati e filosofi firmatari della lettera hanno qui inteso i paragrafi 106 e 107 dell’enciclica dedicati alla “Globalizzazione del paradigma tecnocratico” come una trasposizione di un’idea della scienza e della tecnologia fuorviante, che rischia di condurre la Chiesa cattolica alla riproposizione di storiche incomprensioni sul valore della ricerca scientifica (non per nulla si cita il caso Galileo); ma, a ben guardare, ci pare si tratti di un fraintendimento. Per comprendere infatti bene il significato delle affermazioni di papa Francesco crediamo occorra contestualizzarle tanto all’interno dell’enciclica quanto in rapporto alle fonti che le supportano, altrimenti può sfuggirne l’autentica ratio, fino appunto a leggervi intenzioni “antiscientifiche” che in realtà non sussistono. Va perciò rimarcato come i passi estrapolati nella lettera facciano parte di un discorso già iniziato con la sottolineatura da un lato dell’importanza delle conquiste tecnologiche per il progresso dell’umanità e dall’altro del pericolo concreto di un uso anomalo dei mezzi tecnologici foriero di gravi pericoli per l’intero pianeta (§§ 102-105). Qui la riflessione entra nel merito del potere straordinario rappresentato dai rilevanti risultati della scienza e della tecnologia e sulla conseguente necessità di saperli utilizzare con il giusto grado di responsabilità. Scrive infatti il Sommo Pontefice: «Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. […] Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo». (§ 104). Il ragionamento di Francesco non è dunque riferito al valore della scienza e della tecnologia moderne in quanto tali, che non ci pare venga mai contestato, bensì al problema di chi detiene il potere sulle grandi scoperte della scienza e delle tecnologia e sul modo in cui intende servirsene. Per capire che questa è l’interpretazione corretta basta fare riferimento alle fonti dello scritto papale, che sono chiaramente da un lato il pensiero di Romano Guardini (soprattutto il saggio
Das Ende der Neuzeit, tradotto in italiano con
La fine dell’epoca moderna, Morcelliana 1993) e dall’altro la Dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima in particolare ha messo in evidenza come per alcuni «la natura appaia come uno strumento nelle mani dell’uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia»; e ciò a seguito di «una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica», mentre la scienza e la tecnologia sono e devono essere altra cosa: «Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da un’ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla» (
Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, § 462). Lo stesso vale per il pensiero di Romano Guardini, il quale assume come obiettivo critico non la scienza, ma il naturalismo filosofico e l’approccio scientista all’antropologia, perché «l’uomo non è quello che indicano il positivismo e il materialismo» (
La fine dell’epoca moderna, p. 78), che hanno appunto proposto un «paradigma unidimensionale» da cui non di rado discende un’ideologia che si avvale della tecnologia per fini utilitaristico-strumentali o di mero potere. Dunque nessuna messa “sotto accusa” del metodo sperimentale in quanto tale, ma casomai di chi lo enfatizza e lo strumentalizza ritenendo che sia possibile sperimentare sempre e comunque senza limiti, come avvenne tragicamente col nazismo (§ 104), anche purtroppo nei campi di sterminio. In conclusione, le questioni a cui fa riferimento l’enciclica non sono epistemologiche o relative al valore del metodo scientifico e della tecnologia, bensì di ordine etico (i limiti da porre all’uso delle tecnologie, §§ 104-105), antropologico (il dominio della tecnica sull’uomo, §§ 106-107) e politico (il potere, anche economico, che strumentalizza le conquiste tecnologiche, § 109). Del resto, se ci fossero ancora dei dubbi, il pensiero di papa Bergoglio sul sapere scientifico è espresso chiaramente con un richiamo a Giovanni Paolo II: «La scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umana, che è un dono di Dio» (§ 102).