«La Chiesa di Mussolini» (Rizzoli, pp. 300, euro 20) è il bel titolo del corposo saggio di padre Giovanni Sale, gesuita di origini sarde, 53 anni, professore di Storia della Chiesa contemporanea alla Gregoriana di Roma e redattore de «La Civiltà cattolica». Bello perché «volutamente ambiguo», come era del resto il rapporto del Duce con il cattolicesimo: da una parte allude all’idea di Chiesa – e di religione, di cristianesimo, di papato, di clero – che l’uomo di Predappio dimostrò durante la sua vita e l’attività di governo; dall’altro richiama invece al comportamento della Chiesa, delle gerarchie italiane e del Vaticano, durante il ventennio fascista. Con largo uso di documenti d’archivio inediti ed epistolari rivelatori, padre Sale ricostruisce soprattutto i primi tempi del regime fino ai Patti Lateranensi, dei quali si occupa lungamente, dimostrando tutta l’astuzia della strategia che alla fine permise a Mussolini di apparire agli occhi del mondo come «l’uomo della Provvidenza».
Quale fu il rapporto personale del Duce con la religione? Egli si considerava «credente» e «cristiano», oppure mostrò indifferenza rispetto alle problematiche di carattere religioso o spirituale? E ancora, nella sfera privata, familiare, come visse i valori della tradizione cattolica, ai quali – come disse con orgoglio – aveva contribuito a ridare dignità e riconoscimento pubblico? Non è facile dare una risposta univoca a tali domande. Va considerato che Mussolini non parlava volentieri di questioni attinenti la religione e la fede, e quando lo fece con i giornalisti o in comizi improvvisati, subito dopo dovette intervenire per correggere il tiro: talora per non incrinare il fragile equilibrio raggiunto con l’autorità ecclesiastica, tal altra per non scontentare i numerosi anticlericali nel partito. In ogni caso, spigolando nell’abbondante letteratura riguardante il Duce, nonché tra i documenti di parte ecclesiastica, è possibile tracciare un sommario profilo di Mussolini «religioso». Fu egli stesso, nell’intervista che concesse a Emil Ludwing nel 1932, a parlare della sua concezione di Dio, sebbene alcuni di questi passaggi siano stati su sua richiesta eliminati al momento della pubblicazione dei «colloqui». «Voglio spiegarle la mia evoluzione. In gioventù io non credevo affatto. Avevo inutilmente invocato Dio, perché volesse salvare mia madre; eppure essa era morta. Inoltre ogni misticismo mi è estraneo (...). Ma io non escludo completamente (...) che una volta, nel corso di milioni di anni, possa aver avuto luogo una soprannaturale apparizione, e che la natura sia quindi divina». Trattando poi della sua personale esperienza in ambito religioso, aggiunse: «Negli ultimi tempi si è rinsaldata (in me) la fede che vi possa essere una forza divina nell’universo ».L’intervistatore, colpito dalle inattese parole del Duce, chiese: «Cristiana?». «Divina» ripeté egli quasi con impazienza, e aggiunse: «Gli uomini possono pregare Dio in molti modi. Si deve lasciare assolutamente a ciascuno il proprio modo». Insomma, Mussolini non professò mai, in nessun momento della vita, la fede come la insegna la Chiesa. B asandosi sugli studi dello storico del cristianesimo Ernest Renan, riteneva che la Sacra Scrittura fosse sostanzialmente una leggenda edificante e i dogmi cristiani frutto dell’intelletto religioso: in ogni caso, utili per rafforzare la vita morale delle persone ed elevare lo spirito dei popo-li, ma in se stessi privi di valore oggettivo. Secondo Giannini – con il quale il Duce negli anni precedenti la Conciliazione si era più volte confidato – egli sentiva fortemente la forza morale del cattolicesimo «e l’impossibilità di mettersi contro corrente, ma, per suo conto, non era mai andato al di là di un vago teismo, come negazione dell’ateismo, più che forza viva e operante della fede». Tale interpretazione legge correttamente l’esperienza che Mussolini fece della religione e di Dio. Nella pubblicistica clerico-fascista di quegli anni si parlò spesso di Mussolini come di un uomo religioso, rispettoso dei diritti della Chiesa e della tradizione cattolica. Da parte di alcuni esponenti del clero (e perfino dell’alta gerarchia) ci fu poi il maldestro e ambiguo tentativo di «cattolicizzare» il mito del Duce del fascismo, definendolo come «novello Costantino », chiamato a risollevare in Italia le sorti della religione. Tentativo che fu però sempre tenuto a freno dalla Curia romana e osteggiato in tutti i modi da Pio XI. Il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, in una relazione alla segreteria di Stato, descrisse la visita di Mussolini alla basilica di San Giusto come quella di un pio devoto, esprimendo – nonostante il conflitto a quel tempo esistente tra governo fascista e Santa Sede – benevolenza e ammirazione. I n Vaticano, tali atti di devozione del capo del governo – di cui si conoscevano bene le idee e i sentimenti in materia religiosa – venivano guardati con sospetto e, a volte, si insistette presso i vescovi perché mantenessero un atteggiamento riservato negli incontri con i capi del fascismo e con lo stesso Mussolini. In svariate circostanze, inoltre, la Santa Sede pretese che gli ordinari partecipassero con moderazione alle numerose manifestazioni organizzate dal regime; in particolare, si proibì che venissero accompagnate, come talora veniva chiesto, da celebrazioni o liturgie religiose, come benedizioni, Te Deum e suoni di campane. Arrivato al potere, Mussolini fece della religione cattolica uno dei pilastri del suo ambizioso progetto di costituzione dello Stato fascista, moltiplicando, col passare degli anni, i segnali di attenzione e di riguardo nei confronti del Vaticano e della gerarchia. Una volta messi al bando i «nemici comuni» della Chiesa e del fascismo, cioè il socialismo ateo e rivoluzionario e la massoneria anticlericale e antipapale, riconobbe ai principi della morale cattolica, soprattutto in materia familiare e di moralità pubblica, il compito di forgiare la coscienza degli italiani, assicurando così al magistero un ruolo guida nella vita nazionale – naturalmente limitato al solo ambito spirituale e morale – e garantendogli anche la protezione della legge. Ora, tale «collaborazione» non fu sempre facile, spesso diede luogo a conflitti e incomprensioni, soprattutto nella delicata questione riguardante la formazione dei giovani e sul ruolo dell’Azione Cattolica, che misero a dura prova tale tacito accordo, il quale divenne effettivo, o meglio normativo, soltanto con il Concordato Lateranense. Ma neppure questo, come ne sarà prova la querelle sull’Azione Cattolica dell’estate del 1931, mise al riparo le due autorità da attriti, incomprensioni e presunti sconfinamenti di competenza. Sebbene su alcuni fronti esistesse una mutua collaborazione e intesa tra Chiesa e regime, non significava che Mussolini si fosse avvicinato alla fede. Il suo ateismo istintivo era però misto a elementi di superstizione; dopotutto, disse più volte, «pregare, se non aiuta certamente non nuoce». In questo egli non si differenziava da molti italiani del suo tempo. Dalle relazioni del nunzio apostolico risulta che, nei momenti di difficoltà e di malattia, il Duce chiedesse preghiere per sé e i suoi cari. Durante una crisi egli disse a monsignor Borgongini Duca, «di avere bisogno di pregare Dio per lui». Il nunzio gli replicò: «Preghiamo sempre per lei, e molte persone pregano per la sua conservazione». A tali parole egli rispose in tono semiserio: «Sarà fino a che Dio vorrà; ma seguitate a pregare, perché ho avuto l’impressione in quei giorni di malattia che voi non preghiate più». N elle fonti di matrice ecclesiastica, affermazioni e richieste simili non sono inconsuete; egli inoltre si commuoveva sinceramente quando il nunzio gli comunicava che il Papa aveva pregato per la sua salute e per i suoi figli. Alcuni autori sostengono che negli ultimi anni di vita avesse maturato una propria esperienza di fede. A questo fa riferimento sua moglie in un’intervista del 1946: «Lui in Dio ci credeva, e me l’ha detto nell’ultima lettera». Non è facile credere a donna Rachele, tanto più che la lettera alla quale fa riferimento pare non sia mai stata scritta. Mussolini non mostrò mai alcun interesse verso problematiche religiose o spirituali. Per lui la religione era un fatto politico o, al limite, antropologico- culturale. Di fatto, sul piano personale, visse come se Dio non esistesse, anche se, come gran parte degli scettici, più di una volta si sarà chiesto se quel Dio sia potuto anche esistere.