Tecnologia. Il “signore della luce” Federico Capasso: «La realtà si legge con un laser»
Scansione al microscopio elettronico delle “metalenti” piane (Capasso Lab)
È un “signore della luce”, uno degli scienziati più innovativi e citati, insignito oggi del premio Balzan per branche della fisica e per strumenti dai nomi del tutto esotici, ma che hanno applicazioni tecnologiche già importantissime e che promettono di renderci l’esistenza ancora più facile. Federico Capasso, nato a Roma nel 1949, è naturalizzato statunitense dal 1992. Dopo il dottorato all’Università di Roma, è entrato nel 1976 nei Bell Laboratories dove ha conseguito la maggior parte dei suoi successi scientifici. Dal 2003 è Ordinario di Fisica applicata alla Harvard University.
Professor Capasso, la motivazione del premio che le viene conferito cita il suo «lavoro pionieristico nel campo del design quantico di nuovi materiali con specifiche caratteristiche elettroniche e ottiche che ha portato alla realizzazione del rivoluzionario laser a cascata quantica, i suoi importanti contributi sul fronte della scienza e della tecnologia fotonica nella plasmonica e nei meta materiali»...
«La fotonica è la scienza e la tecnologia della generazione, dell’assorbimento e del controllo dei quanti di luce. E come tale è al fondamento delle tecnologie che stanno dietro gli smartphone e internet, molta strumentazione medica e le comunicazioni ottiche, compresi i laser e i led. Il laser a cascata quantica è una delle principali innovazioni in questo ambito. Si tratta della prima sorgente laser efficiente, compatta e di alta potenza, che si può regolare per la lunghezza d’onda nella regione dello spettro detta infrarosso, cioè la luce che per noi esseri umani è invisibile. Dato che la gran parte delle molecole assorbe luce invisibile, possiamo creare nuovi sensori estremamente raffinati».
Qualche spiegazione, seppur semplicistica, è qui doverosa. La doppia natura della luce, come onda elettromagnetica e come corpuscolo (quanti), è acquisizione abbastanza recente. Il laser è un dispositivo che emette luce di tipo molto particolare, in modo per così dire specifico e mirato. A partire da queste basi, Capasso ha fatto compiere notevoli passi in avanti alle possibilità aperte dalla spettroscopia, ovvero lo studio delle radiazioni assorbite o emesse dalle sostanze prese in considerazione (un cibo o un esplosivo), attraverso l’indagine dello spettro, cioè la suddivisione delle varie componenti di una radiazione elettromagnetica emessa da una sorgente (come la luce laser).
Se grandi spettrometri possono dirci, per esempio, che tipo di gas è quello contenuto in una bottiglia, i suoi dispositivi oggi consentono prestazioni prima inimmaginabili...
«Esattamente. Do un esempio di quello che abbiamo collaborato a fare. Il nostro sistema laser miniaturizzato è stato montato sotto un aereo che vola dagli strati più bassi dell’atmosfera a quelli più alti. In una specie di scatola, entra l’aria e il laser a cascata quantica, fatto rimbalzare tra due specchi per moltiplicare la distanza percorsa e aumentare la sua capacità di cogliere le componenti della radiazione, rileva la percentuale di gas serra presenti alle varie altitudini. Si tratta di parti piccolissime, che in nessun altro modo sarebbe possibile mappare con quella precisione. Da questi dati si possono poi costruire modelli affidabili del cambiamento climatico. E apparecchi simili possono avere applicazioni per la sicurezza, rilevando minime quantità residue di esplosivo. Con la capacità che abbiamo di tarare fasci laser per ogni sostanza a costi sempre più bassi, potremo in futuro fare controlli di qualità con una specie di pistola che leggerà la composizione di farmaci e di alimenti durante la produzione».
Parliamo di plasmonica e meta materiali...
«È la frontiera più recente che sto esplorando, da meno di dieci anni. Si tratta dello studio dell’interazione della luce con nano-strutture metalliche. E nano significa nell’ordine del miliardesimo di metro. Il frutto più interessante di questa ricerca riguarda la cosiddetta ottica piatta, con la produzione di “metalenti” piane. È noto che le lenti, usate per fare convergere la luce, sono curve. Noi siamo riusciti a realizzare lenti piane ultrasottili che focalizzano la luce come le lenti tradizionali. Si tratta di lenti che si possono produrre con la stessa tecnologia dei microprocessori. E che potranno essere integrate con il sensore della macchina fotografica di un telefonino. In questo modo si avrebbe un enorme vantaggio in termini di dimensioni dell’apparecchio, che potrebbe essere spesso la metà di quelli attuali».
Dopo sette premi Nobel, lei è il primo premio Balzan dei Bell Laboratories. Quale deve essere il rapporto tra ricerca di base e scienza applicata?
«A mio avviso, la scienza fondamentale e le sue ricadute tecnologiche stanno in un continuum, con influenze reciproche e intuizioni che si riverberano dall’una alle altre e viceversa. Ricordo che speciali sensori, una nuova tecnica, hanno permesso di vedere indietro fino alla nascita dell’universo. Oggi i Bell Laboratories hanno comunque ristretto il loro campo di ricerca».
Pensando anche all’Italia, qual è la ricetta per perseguire l’innovazione?
«Cercare l’innovazione comporta sempre un rischio, necessita di tempo. Oggi si vogliono risultati finanziari e commerciali immediati e quindi, in genere, le aziende non vogliono rischiare in proprio. Negli Stati Uniti, il nuovo modello che sta nascendo vede la collaborazione tra università e centri di ricerca aziendali, in un processo virtuoso che dal sostegno alla scienza di base arriva alle applicazioni tecnologiche».
E il suo nuovo confine da varcare?
«La metaottica misura anche le forze ottiche che la luce esercita sulle particelle: siamo riusciti a cogliere forze sotto il milionesimo di miliardesimo di Newton, che è la quantità di forza necessaria per imprimere a un chilogrammo di massa un’accelerazione di un metro al secondo quadrato».