Mostraci il tuo volto. Palaia: «La Pira, un mistico per il bene comune»
Giorgio La Pira (1904-1977)
Preghiera e politica. Quando si pensa a Giorgio La Pira vengono in mente queste due cose. Anzi, l’unità di queste due cose. Per lui non poteva esserci politica senza preghiera perché considerava la politica una diretta conseguenza della preghiera. «A questo proposito citava spesso il capitolo 21 del Vangelo di Giovanni lì dove il Risorto rivolgendosi a Pietro per ben tre volte ripete: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?... Pasci i miei agnelli”. Riteneva infatti che il politico avesse lo stesso compito del discepolo: tradurre l’amore per Gesù che si esplica nella preghiera, in impegno verso le persone che ci sono state affidate». A parlare è don Giovanni Emidio Palaia, docente di Teologia Morale alla Lumsa, che per il venerabile La Pira ha una autentica devozione e da quasi vent’anni ne studia il pensiero e la figura, con particolare attenzione per la spiritualità e la mistica. «Tutto è nato dal racconto che mio padre faceva di un incontro avuto con lui al convento domenicano di San Marco a Firenze. Era rimasto così colpito dall’atteggiamento, dalle parole, dallo sguardo che quel suo entusiasmo si è trasformato in me in una amicizia per La Pira che oggi, posso dire, mi è compagno di strada, una presenza viva in ogni scelta di vita».
Quando si parla del Sindaco santo se ne sottolinea soprattutto l’impegno per gli ultimi, il dialogo fra le religioni, il ruolo svolto nella stesura della Carta costituzionale, l’attivismo in favore della pace col viaggio a Mosca e poi gli incontri con Ho Chi Minh, Chou En-Lai, Kennedy, De Gaulle…
Prima di ogni altra cosa, però era un uomo di fede incrollabile, un mistico capace di restare ore in preghiera davanti all’Eucaristia. Credeva così tanto nell’aiuto spirituale che prima di intraprendere ogni iniziativa politica di una certa importanza coinvolgeva le suore di clausura di un centinaio di monasteri inviando missive in cui spiegava i suoi progetti e chiedeva preghiere per il loro buon esito. Fin dai tempi dell’università, prima a Messina, poi a Firenze, dedicava molte ore della giornata alla preghiera. Era capace di silenzio e di dialogo con se stesso, per questo aveva molto presto compreso e vissuto che Dio è presente in ogni cuore e instilla un senso di spiritualità, il desiderio del suo Volto, che solo se viene assecondato conduce sulla strada della realizzazione umana.
Per lui è sempre stato così?
Era nato a Pozzallo, in Sicilia, nel 1904, da una famiglia di fede semplice come era comune in quell’epoca. Era intelligente e studioso e uno zio di Messina, Luigi Occhipinti, decise di accoglierlo per farlo studiare. Lo zio era anticlericale convinto, un uomo di cultura animato da logiche risorgimentali e il giovane La Pira ne restò influenzato, privilegiando l’approccio intellettuale e la ragione. Qualche domanda iniziò a sorgere dalla lettura dei grandi classici in cui il problema della fede emerge costantemente. Poi un giorno del 1921 ecco la svolta.
Cosa accadde?
Nei suoi scritti racconta che provvidenzialmente si trovò ad ascoltare il canto di una comunità religiosa in preghiera e ne rimase molto colpito. Lì capisce che accanto alla conoscenza attraverso l’intelletto c’è una conoscenza che passa dal cuore: per dirla con san Bernardo, un modo di conoscere del cuore, nel cui ambito è Dio stesso a fornirci le pa- role con cui cercarlo nella preghiera, con cui entrare in relazione con lui.
Ci furono altri episodi di questo tipo?
Quello che probabilmente gli cambia la vita accade durante la Pasqua del 1924. Al momento della comunione, racconterà, «sentii circolare dentro di me un’innocenza così piena da non poter trattenere il canto e la felicità». Dossetti sostiene che si sia trattato del fatto decisivo e irreversibile della spiritualità di La Pira. Sente, da mistico, che l’Eucaristia è unione fisica con Gesù. Vive la pienezza di gioia che è del Risorto. In quell’episodio il periodo della ricerca è definitivamente superato: comprende che la fede si colloca a un livello superiore della ragione. Insomma, si rende conto che non si capisce per credere, ma si crede per capire. E allora si può fare esperienza della presenza di Cristo. Io, come Dossetti, credo che in quell’occasione lui l’abbia sentita viva e vera alla maniera di san Francesco a San Damiano, come sant’Ignazio a Manresa. Da quel momento in poi ritiene, alla stregua dei Padri, che ascoltare la Parola sia come camminare con Dio nel Giardino dell’Eden, stare con lui faccia a faccia.
L’Eucaristia resta un riferimento della sua vita?
La sua era una vita eucaristica. Ogni giorno partecipava alla messa e ogni giorno si nutriva di Eucaristia. Vedeva in essa il principio e il fine dell’esistenza ed era per lui un riferimento costante. Capitava che da professore a Firenze (insegnava Diritto romano), da sindaco, come da ministro nei momenti di pausa fra riunioni o lezioni si recasse in qualche chiesa vicina e si immergesse talmente nell’adorazione da perdere ogni riferimento, fino a quando qualcuno lo veniva a cercare. Si confessava spesso. Per lui inginocchiarsi non era un problema. E questo si traduceva nella vita di ogni giorno, che era misurata e ascetica, ma concreta: pregava e lavorava tanto, si spendeva per gli altri, dormiva poco.
Immerso in Dio come un mistico, appunto…
Sapeva che grazie a Cristo la persona umana è fatta partecipe della vita divina e se resta in questo amore sperimenta le comunicazioni soprannaturali che giungono da Dio. Era apertissimo al soprannaturale, si può dire che nella sua anima vedesse un pezzo di Paradiso. E questo vivere immerso in Dio si traduceva in apertura nei confronti del prossimo in qualunque ambito si trovasse. Sempre accogliente, sempre sorridente. Se da una parte era riconosciuto e cercato per la sua autorevolezza, per la sua testimonianza di santità, anche dai papi e dai grandi del suo tempo, dall’altra viveva in povertà perché tutto quello che aveva lo dava ai poveri.
Un uomo di pace e di dialogo.
Certamente. E la storia ben ce lo ricorda, come abbiamo in piccola parte già sottolineato. Ciò che è necessario aggiungere per capirne fino in fondo il messaggio spirituale è che tutto il suo straordinario e inesauribile impegno per la pace e il dialogo in qualsiasi contesto si trovasse a operare era il frutto naturale della pace interiore: in lui ogni conflitto era sanato. Non c’era alcun contrasto fra vita e fede, fra pubblico e privato perché li viveva come un tutt’uno. Questa era la sua coerenza. Era un uomo “unito”, pacificato, lontanissimo dalle logiche ipocrite di tanta politica, del potere.
In una contemporaneità che privatizza ogni scelta di fede siamo di fronte a un messaggio dirompente, di grandissima attualità.
La sua “unità di vita” era un segno di distinzione già alla sua epoca. Questa unità è il Volto di Dio in La Pira. E oggi come allora si tratta di un chiaro messaggio alla politica. In particolare ai cristiani in politica, ai quali ricorda che non c’è divisione fra corpo e spirito, fra fede privata e impegno pubblico, fra coerenza nella vita privata e coerenza nell’azione politica. La Pira ci mostra che la fede autentica unifica l’uomo, non lo disperde in tanti rivoli.
Lavorava per il Regno di Dio già su questa terra.
Santa Caterina da Siena diceva che un uomo deve essere padrone della sua anima. In questo lui era attentissimo esercitando un’ascesi costante: sobrio nel mangiare, morigerato, temperante trasformava ogni azione in preghiera. Aveva accolto il Regno di Dio nel cuore e viveva per esso. Questo lo portava a vivere con concreta naturalezza la Speranza contro ogni evidenza secondo la logica del suo motto: Spes contra spem. Così disponendo del potere l’ha sempre usato solo per il bene comune, attento a servire Cristo in ogni circostanza riconoscendo il suo Volto nel prossimo e non a servirsi di Cristo e della Chiesa per le proprie finalità.