Intervista. Ravasi: «La parola? Va assaporata»
Preceduta in questi giorni da una serie di incontri in librerie e case private, l’ottava edizione di BookCity Milano si inaugurerà domani sera alle ore 20,30 presso il Teatro Dal Verme con un dibattito moderato dal Marino Sinibaldi sul tema “Convivenze”, durante il quale interverranno gli scrittori Fernando Aramburu, Paolo Giordano, Michela Marzano e il poeta Simone Savogin. Da giovedì a domenica si susseguiranno oltre 1.500 eventi, ai quali prenderanno parte più di tremila autori, con un forte coinvolgimento delle scuole, delle biblioteche e delle diverse zone della città. Fra le caratteristiche dell’edizione di quest’anno l’approfondimento dei temi che riguardano l’Africa (domenica alle 18 è previsto un incontro con il premio Nobel Wole Soyinka), il gemellaggio con Barcellona e la collaborazione con diverse manifestazioni culturali, tra cui la Milanesiana, il Salone del libro di Torino, i Dialoghi sull’Uomo di Pistoia e il Festival della Mente di Sarzana. Il programma completo può essere consultato sul sito www.bookcitymilano.it
Di libri se ne intende, oltre che di biblioteche e di librerie, si capisce. «Nei miei anni milanesi frequentavo molto quella di San Carlo al Corso – ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi –. La dirigeva uno di quei librai di una volta, preparatissimo e sempre al corrente sulle nuove uscite. Passavo molto tempo a parlare con lui e credo di avere imparato parecchio da quelle conversazioni ». Ammissione tutt’altro che irrilevante, visto che a pronunciarla è il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, biblista di rango e divulgatore instancabile, autore di decine e decine di volumi, tra cui il recentissimo Piccolo dizionario dei sentimenti (il Saggiatore, pagine 128, euro 14,00). Anche questa volta, come di consueto, il cardinal Ravasi si muove con disinvoltura tra l’esegesi delle Scritture e una pioggia di citazioni eclettiche, spesso sorprendenti. «La nostra conoscenza è polimorfa – annota tra l’altro nell’introduzione –, si compie attraverso molti e diversi canali », non esclusi quelli «del sentimento, della passione, dell’emozione, dell’intuizione, dell’affettività ». Tutti elementi che, in modo più o meno dichiarato, tornano in gioco nell’incontro che il cardinale si appresta a tenere nell’ambito di BookCity, la festa partecipata e diffusa del libro e della lettura che si terrà a Milano da domani fino a domenica. Realizzato dal Cortile dei Gentili in collaborazione con l’Associazione librai italiani (Ali) e l’Unione editori e librai cattolici italiani (Uelci), il dibattito “Dalle migrazioni dei popoli alle migrazioni di idee” si terrà venerdì 15 novembre alle ore 17,30 presso la sede di Unione Confcommercio (corso Venezia 47). È stato lo stesso cardinal Ravasi a scegliere gli interlocutori con i quali confrontarsi sul ruolo di mediazione culturale che i librai sono oggi chiamati ad assumere. «Ho adottato un criterio semplice: cercare persone che in questo mo- mento riconoscano e pratichino il valore della parola».
Quindi chi ci sarà con lei?
Gianrico Carofiglio, uno scrittore che, a mio avviso, sa essere popolare e raffinato insieme, anche grazie al suo gusto per l’esattezza della parola. E poi Massimo Gramellini, di cui apprezzo lo stile comunicativo, decisamente acuto e incisivo: volendo applicare le categorie della retorica antica, direi che il suo è un bell’esempio di atticismo. Infine, Francesca Crescentini, ovvero @tegamini, una blogger molto nota e apprezzata per la sua capacità di parlare di libri con un linguaggio innovativo. In un certo senso, la sua è la figura che più mi interessa.
Come mai?
Da qualche tempo, all’interno del Cortile dei Gentili, stiamo sviluppando una riflessione su quanto sta accadendo nella società. Finora eravamo convinti che per la diffusione della cultura fossero sufficienti i canali tradizionali: l’accademia e la scuola, per semplificare al massimo. La dimensione dello studio e della ricerca resta fondamentale, sia chiaro. Io stesso provengo da una formazione di questo tipo. Tornare a Milano, come farò in questi giorni, per me è anzitutto tornare alla Biblioteca Ambrosiana, di cui sono stato prefetto per diciotto anni. Mi è evidente da dove viene il patrimonio culturale che siamo chiamati a custodire. Più difficile, in questo momento, mi risulta capire come questo tesoro possa essere tramandato alle generazioni future.
Per questo occorre interpellare i blogger?
Occorre interpellare i giovani, come stiamo facendo anche al Cortile dei Gentili attraverso un’apposita consulta alla quale appartengono venti tra ragazzi e ragazze, selezionati non in base all’eventuale appartenenza religiosa, ma a partire dalle competenze e dalla curiosità che sono in grado di esprimere. Con loro il dialogo è costante e, di nuovo, molto istruttivo. Si dice che leggano poco, però quando si dedicano a un libro lo fanno con estrema serietà. Sottolineano, prendono appunti, mettono in discussione il testo.
Le sembra un buon segnale?
Un ottimo segnale, indubbiamente. Mi fa tornare in mente l’immagine dell’«ingegnere rinascimentale » richiamata da Steve Jobs nel celebre discorso di Harvard, quello dello Stay hungry, stay foolish. Non saprei quanto il fondatore della Apple ne fosse consapevole, ma in quel momento stava parlando di Leonardo da Vinci.
Che cosa significa?
Che il progresso tecnologico da solo non basta, perché ha e avrà sempre bisogno di un contraltare umanistico. Non si tratta di rinnegare la tradizione ma, al contrario, di renderla sempre più viva, sempre più accattivante e attuale. Sempre più utile, aggiungerei: un fenomeno come quello delle fake news non si contrasta senza un adeguato bagaglio di conoscenze.
Di che tipo?
Linguistiche, in primo luogo. Più passa il tempo, più mi persuado che tutto passi da qui: dal ritorno alla parola intesa nella sua accezione più nobile.
Non abbiamo appena detto che occorre guardare al presente?
Esatto. Viviamo in un’epoca storica nella quale la parola è troppo spesso violenta, aggressiva, addirittura brutale. Questo, come sappiamo, avviene in particolare nel contesto digitale, che pretende di basarsi sull’immediatezza e in questo modo finisce per sacrificare la profondità di ogni discorso. Le parole vengono manipolate, travisate, senza che ci sia più un apparente consenso sul loro effettivo significato. In questo contesto diventa sempre più urgente riscoprire l’insegnamento del poeta Paul Valéry: tra due parole, è la minore che va scelta, ossia la meno chiassosa, la più delicata e autentica.
Sono le parole che cerchiamo nei libri?
Sì, e sono anche le parole che ci permettono di ammettere che non tutti i libri sono uguali, che uno non vale l’altro. Già quattro secoli fa il filosofo Francis Bacon distingueva tra i libri da assaggiare appena, evitando di proseguire nella lettura, quelli che non si può fare a meno di inghiottire e quelli, infine, che si possono assaporare e masticare lentamente, così da digerirli e trarne nutrimento. Quando discutiamo dell’importanza del libro, è a quest’ultima categoria che dobbiamo riferirci. Per il resto, sarebbe il caso di rispolverare la schiettezza di certe stroncature, come quelle, per me memorabili, che Giuseppe Bonura pubblicava proprio su Avvenire.
E i librai? Quale potrebbe essere il loro ruolo?
Il mio consiglio è di tornare a parlare di più con chi si affaccia in libreria, investendo più tempo nell’ascolto e nel dialogo. Ora come ora, vedo il rischio che al libraio venga affidata, specie da parte dei grandi gruppi editoriali, la funzione quasi esclusiva di promozione di un prodotto. Ma non è questo il suo compito. Il libraio è un mediatore, non un promotore. Per questo è bene che continui a studiare, a specializzarsi. Non sto demonizzando la promozione, che anzi è quanto mai necessaria in un Paese come l’Italia, scarsamente abituato alla lettura. La missione del libraio, però, non può risolversi in questa pratica, sia pure legittima. C’è un’urgenza di mediazione, lo ripeto, da attuare anche attraverso i nuovi strumenti messi a disposizione dal digitale.
Che idea si è fatta della situazione nel mondo cattolico?
Mi pare che la crisi abbia portato a concentrarsi di più sui titoli considerati sicuri in termini di mercato e resa commerciale. Un atteggiamento comprensibile, ma che alla lunga può essere controproducente. Occorre avere il coraggio di tornare a puntare più in alto, magari con scelte più ambiziose, che mettano il lettore in grado di crescere e, conseguentemente, di scegliere con maggior maturità.