Agorà

Mondiali. La pallavolo nelle mani delle donne

Giuliano Traini mercoledì 8 ottobre 2014
Visto da sottorete il muro che si staglia sulle azzurre sembra insuperabile. Alla finale mondiale di Milano sono arrivate sei squadre, l’Italia è fra queste e il primo a dichiararsene «stupito» è lo stesso ct Marco Bonitta, che dopo la vittoria sulla Cina si presenta davanti alle telecamere mimando lo stropicciamento degli occhi: «Mi devo ancora svegliare», dice sfoderando un sorriso misto di stupore e compiacimento. Il “teatrino” improvvisato dal tecnico romagnolo dopo avere agguantato una delle due testa di serie della Final Six è la peculiarità della nuova Italia, scanzonata ed estemporanea. Una squadra rabberciata in quattro e quattr’otto, condizione inevitabile quando il tecnico viene assoldato appena sei mesi e mezzo prima del torneo iridato e si ritrova a improvvisare, fidandosi più dell’intuito che della ragione. Bonitta è un alchimista: prova e rimescola la squadra fino all’ultimo giorno utile. Testa schemi in campo e caratteri nello spogliatoio, più i secondi che i primi, perché in una squadra femminile gestire gli umori è più complicato che gestire una battuta flottante. E il ct lo sa bene, ne porta ancora le cicatrici addosso: nel 2006 le azzurre con le quali aveva conquistato il Mondiale quattro anni prima lo “licenziarono” in tronco. Ora è tutto diverso, i caratteri si sono smussati e per raggiungere un obiettivo non si può concedere spazio al rancore. Così, anche Eleonora Lo Bianco - la “pasionaria” dell’insurrezione - è stata richiamata in squadra. Un buon esempio è indispensabile per superare le tensioni che si possono accumulare in una Nazionale che deve fare i conti anche con questioni generazionali, perché su 14 atlete tre sono under 21 e 5 over 33. Alcune di loro non sapevano nemmeno cosa fosse la pallavolo quando altre vincevano il titolo mondiale. Eppure questa squadra ridimensionata dagli infortuni prima ancora di nascere, allestita fra dubbi e ripensamenti, è riuscita a diventare gruppo, a sorprendere tutti a cominciare dallo stesso ct che l’aveva immaginata diversa. Le individualità sacrificate alla causa comune, le personalità più forti libere di esplodere solo di gioia e dopo la vittoria. Situazioni impensabili appena qualche settimana fa, come gli avvicendamenti in campo digeriti con estrema disinvoltura. Nessuna titolare fissa e nessun malumore espresso anche indirettamente, nemmeno dalle due ragazze costrette di volta in volta ad accomodarsi in tribuna. Unite da un’occasione unica, un Mondiale giocato in casa che per molte sarà anche l’ultimo treno per dare un tocco di prestigio alla carriera. Un gruppo solido che sul campo ha trovato una lingua comune, a dispetto delle differenze geografiche, generazionali e di abitudini, con sette azzurre che giocano all’estero. Una, la Cardullo, è addirittura disoccupata. Una squadra malleabile, che si lascia plasmare giorno per giorno dalle mani di un ct che sul parquet rimescola continuamente schemi e giocatrici disorientando le avversarie. Un gruppo che riesce ad andare oltre i suoi limiti galvanizzato dalle vittorie, senza gelosie ad intaccarne l’armonia. Un autentico prodigio se si pensa che lo scorso agosto l’Italia non è riuscita nemmeno a qualificarsi per le finali del World Grand Prix. È una questione di carattere, superiore alle qualità tecniche, da sfoderare in campo quando si “spegne la luce”, per reagire senza affogare nel panico nei momenti più difficili. Un carattere capace di sopportare il peso di dover fare risultato a tutti i costi, soprattutto dopo la disfatta dei maschi in Polonia. E l’Italia si sta identificando in questa Nazionale eterogenea dai tanti accenti - da Napoli a Bolzano - e dalle proporzioni assurde - dai 162 centimetri della Cardullo ai 2 metri della Diouf -. Piace questa Italia capace di diventare squadra e di sconfiggere anche i pronostici, lo dicono anche gli ascolti tv. Da stasera inizia un altro Mondiale, quello più difficile, complicato anche dal sorteggio che ha opposto l’Italia agli Stati Uniti e alla Russia. Evitato il Brasile solo perché era l’altra testa di serie. Ma le azzurre non si lasciano abbattere, sono cresciute camminando verso Milano e sanno che, come sempre, tocca alle donne salvare il bilancio in casa Italia.