Agorà

DISCUSSIONI. La nostra cultura insegna la droga?

Leonardo Servadio mercoledì 27 febbraio 2013
«Oggi sarebbe forse in controtendenza un artista che non facesse uso di droghe». L’osservazione buttata lì quasi en passant da Alessia Bertolazzi, autrice di Sociologia della droga (Franco Angeli, 2008) dà il senso del tipo di cultura diffusa in cui ci si trova. Quel che appariva off limits solo pochi decenni fa, si è scavato una solida nicchia nel modo di vivere e di pensare. Silenziosamente. Ci siamo avvicinati a un "nuovo mondo" alla Aldous Huxley? L’uso delle droghe è entrato nel vivere quotidiano non solo di specifiche categorie quali, appunto, artisti o sportivi professionisti. «È anzitutto un problema di cultura» sostiene Antonio Maria Costa, che dal 2002 al 2010 è stato direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc). «Dal dopoguerra abbiamo attraversato tre grandi periodi. Negli anni ’50-’60 la droga era vista come una stravaganza di qualche rampollo di famiglie agiate, ed era stigmatizzata. Alla fine degli anni ’60, adottata da vari movimenti giovanili, si ammantò del profumo di rivolta sociale. Oggi è accettata nell’indifferenza di un relativismo che si è assolutizzato. La prendi? Non la prendi? Fa lo stesso...». Ma la droga uccide... «Meno del tabacco, in termini assoluti: approssimativamente 500 mila morti all’anno nel mondo, a fronte di circa 5 milioni uccisi dal tabacco. Ma in percentuale il discorso è diverso, perché circa il 30 per cento della popolazione fuma tabacco mentre solo il 2 per cento consuma droghe: è vero, la droga uccide. Ma l’idea diffusa è invece che la si possa consumare impunemente. Qui sta il pericolo».
 
«Contro il tabacco da anni sono in atto campagne di informazione che hanno generato una coscienza della dannosità, e questo si traduce in pressione psicologica verso i fumatori, per quanto il tabacco sia legale. Viceversa chi consuma droga non ha informazioni adeguate e non subisce pressioni sociali, per quanto sia illegale. A volte anzi le pressioni sono di segno opposto e capita che in discoteca si presenti come sfida: "mi drogo perché sono forte". Purtroppo è vero il contrario: nella maggioranza dei casi chi diventa tossicodipendente ha alle spalle problemi psicologici e familiari». Il che vale per tutte le droghe? «In chi si droga c’è sempre un groviglio di tensioni, timori, disillusioni. Ma, com’è noto, la cocaina è usata da chi insegue il successo. Oppiacei come l’eroina hanno funzione consolatoria e in Europa il loro consumo è diminuito nell’ultimo decennio, ma oggi, con la crisi è in ripresa. Dilagano le droghe sintetiche, ritenute pulite perché calibrate a seconda degli effetti desiderati, con un’offerta variegata e sempre nuova, di fronte alla quale il legislatore è sempre in ritardo. Quello della droga è un grosso affare. Vi sono implicati anche grossi laboratori farmaceutici». C’è modo per contrastarla? «Con l’informazione. Anche i cannabinoidi sono dannosi alla salute, oltre a essere la porta di accesso ad allucinogeni più pesanti. In Svezia quasi il 90 per cento dei giovani lo sa e per questo li evita. In quel Paese hanno svolto ampie campagne informative: nel secondo dopoguerra furono vittimizzati dall’enorme afflusso di droghe psicotropiche avanzate dalle scorte usate dai militari (sia tedeschi, sia alleati) durante il conflitto per vincere la paura. E hanno voluto evitare nuove ondate di consumi di massa. In Italia la percentuale di giovani che conoscono il pericolo è, invece, molto bassa: non sorprende che l’assunzione di sostanze sia maggiore che in Svezia». «L’uso delle droghe si è normalizzato», constata la Bertolazzi che all’università di Bologna col gruppo coordinato da Costantino Cipolla da anni studia il problema nel nostro Paese. «È inteso in senso ricreativo. Un tempo la prendevano soprattutto i ragazzi, ora non c’è più differenza con le ragazze. Da rilevamenti nelle discoteche romagnole emerge che la ricerca dello sballo è sistematica: una volta la settimana. C’è l’idea che poi si torna alla vita normale. Ed è invalso il pluriconsumo: più sostanze contemporaneamente. Tra queste la ketamina: è meno cara della cocaina e stordisce, con un effetto simile alla morte. Non c’è coscienza della pericolosità. Campagne, poche e sporadiche, come quella "La droga ti spegne" non raggiungono l’obiettivo: con la cocaina uno può star sveglio due giorni di fila. E in Internet si trovano informazioni ingannevoli». Ma che concetto ha di sé chi ricorre alla droga, quale idea di essere umano è compatibile con lo "sballo"? «Mi sembra che il problema sia antico e riguardi il tentativo di rispondere all’inquietudine attraverso il godimento» sostiene Silvano Petrosino, docente all’Università Cattolica di Milano. «Noi abbiamo bisogni e piaceri. Abbiamo sete di felicità. Ma che cos’è questa? La società dei consumi ha una risposta chiara. Usa la tal crema e sarai bella come la grande attrice... È lo stesso principio dell’idolo d’oro che gli ebrei chiesero ad Aronne: qualcosa da vedere e da toccare. Il consumismo ci dà idoletti per il consumo quotidiano: sembra semplice. Il passo a un altro tipo di consumo è cospicuo, ma in fondo sullo stessa linea. 5 euro per una dose. E ci si illude si sentirsi bene».
Droghe come hashish e oppio erano estranee alla nostra civiltà. «L’Oriente, da dove vengono, non conosce l’eccesso, perché non pone l’individuo come primario, bensì l’armonia del tutto. L’Occidente ha nell’individuo il suo perno: ne deriva l’impulso al miglioramento, al progresso. Ma anche l’aggressività, la bramosia, l’eccesso. Lo si cerca nelle slot machine, come in altri tipi di godimento: ma la soddisfazione non è mai raggiunta. E da questa insoddisfazione nasce la distruttività. C’è una canzone di Zucchero che dice "ti farò morire... non avrai più desideri, solo piaceri". Il riferimento è al sesso. Il principio è lo stesso: il godimento. E poi? Subentra l’eccesso, l’aggressività. La morte». L’autodistruzione? «È la forma più alta di distruzione: l’individuo può accogliere o distruggere. E quest’ultima via, portata all’eccesso, si rivolge contro il soggetto stesso. Ma la grande carta dell’Occidente è il cristianesimo: il corpo è il tempio dello spirito. Non può essere riciclato alla ricerca del mero piacere effimero».